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Introduzione sull’accaduto
Nel bel mezzo dell’escalation di tensioni in Medio Oriente, si è verificato un evento devastante che si è riverberato in tutta la regione e che ha sollecitato consultazioni d’emergenza tra i leader mondiali. In un giorno carico di aspettative, poche ore prima dell’inizio di una missione diplomatica di alto profilo (con il presidente USA in visita ufficiale ad Israele), si è verificata un’esplosione di terribile portata all’ospedale arabo al-Ahli di Gaza City. Il tragico incidente, avvenuto intorno alle 19.30, ha causato la perdita di almeno 500 vite umane ed è stato l’evento più letale da quando, il 7 ottobre, si sono riaccese le ostilità tra Hamas e Israele.
L’immediatezza dell’esplosione è stata segnata dalla confusione, mentre la nebbia della guerra gettava un’ombra sugli eventi. Le autorità israeliane e palestinesi si sono affrettate a negare la responsabilità, creando un contesto di incertezza e di narrazioni contrastanti. Inoltre, il panorama informativo è stato offuscato da una proliferazione di disinformazione online, che ha ulteriormente intorbidito le acque della verità.
Chi è responsabile dell’attacco?
All’ombra della calamità che si è abbattuta sull’ospedale di Gaza, emerge un turbinio di dita accusatrici che puntano frettolosamente verso Israele o Hamas. Ma ecco, questa semplicità è solo un’illusione, che nasconde una colpa di vasta portata che non riguarda solo queste entità, ma avvolge tutte le anime di questa sfera celeste, siano esse arabe, ebree o cristiane, siano esse di grandi o piccole nazioni o facciano parte di potenti organizzazioni internazionali. In verità, siamo coinvolti in un errore morale collettivo, una negligenza del sacro dovere che trascende i confini e le epoche. Per secoli, la lotta tra le anime israeliane e palestinesi si è incancrenita e noi, la comunione globale, abbiamo distolto lo sguardo, lasciando che diventasse una mera nota a piè di pagina negli annali delle preoccupazioni umane. Questo è un grave peccato, perché siamo i custodi di una terra consacrata a miriadi di anime: la Terra Santa. L’aver trascurato la sua sacralità ci costringe a portare le colpe di tutte le vite perse, sia a Gaza che in Israele. L’atto di lanciare un proiettile o di far esplodere un ordigno non è che l’ultima increspatura in un mare di mancanze collettive che hanno avuto origine dal profondo della nostra coscienza comune. Questo non è un momento per la vana retorica dei politici terreni che eludono le responsabilità; è una stagione per la riflessione dell’anima. Abbiamo scelto leader privi di discernimento divino per navigare in questo mondo fragile. In questo solenne riconoscimento delle nostre comuni trasgressioni, incamminiamoci su un sentiero di rettitudine che possa spalancare i cancelli di un’era di pace universale.
L’abbandono del Sacro
Allo stesso modo, la Terra Santa, è un esempio lampante delle nostre comuni carenze morali e spirituali. Nonostante la riverenza internazionale per la santità di questa patria comune, c’è un evidente fallimento nel mantenere la pace e la giustizia. Ogni passo falso diplomatico, ogni risoluzione poco brillante e ogni violazione ignorata dei diritti umani si accumulano come un’accusa contro tutti noi. Non siamo semplici osservatori di questo ciclo continuo di conflitti e profanazioni, ma partecipanti attivi. L’aver trascurato la sacralità di quest’area ci rende responsabili di ogni vita persa, di ogni lacrima versata e di ogni sogno infranto.
Conclusione: Oltre le colpe
La propensione a distribuire colpe offre un fugace conforto, un’assoluzione transitoria dalla gravità dei nostri doveri morali collettivi, ma rimane un gesto vuoto che non riesce a produrre affatto una riparazione (tikkun Olam). In effetti, siamo rapidi nel giudicare, ma dimentichiamo la nostra lunga negligenza nei confronti di molti nostri fratelli e sorelle. Ci siamo dimenticati trooppo spesso dei moltissimi rifugiati che vivono in condizioni disumane in Palestina, anelando a una parvenza di vita dignitosa. Allo stesso modo, non ci siamo curati dei giovani israeliani, vincolati dal servizio militare obbligatorio, quelli che preferirebbero investire quegli anni nella coltivazione della pace, piuttosto che nella preparazione alla guerra. Queste, come tante altre nostre negligenze, non sono che manifestazioni di un malessere spirituale più grande che affligge tutti. Abbiamo rinunciato alla nostra sacra responsabilità di mantenere la pace nella terra dove DIO ha proclamato: “I miei occhi e il mio cuore saranno lì per sempre”.
Non serve a niente trovare il colpevole e fare “gossip”; è invece doveroso andare oltre il biasimo per abbracciare una responsabilità universale e condivisa. Riflettiamo sui nostri errori e preghiamo per le vittime, le loro famiglie, i feriti, e i bambini che soffrono. Imploriamo la forza di diventare persone migliori, attivamente impegnate nella costruzione della pace e nel cultivo di un mondo più compassionevole e giusto. Questo impegno serio nei venerati sforzi di riconciliazione, giustizia e pacificazione è la chiave per un futuro di pace duratura e per redimere la nostra Terra Santa dal suo coinvolgimento in un conflitto incessante.