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Sebbene questo testo sia un lamento che incarna il dolore e la nostalgia di un popolo esiliato, il Salmo 137 non è solo uno dei più struggenti della Scrittura, ma anche uno dei più carichi di speranza. Questa infatti emerge proprio dall’abisso del dolore, poiché in mezzo alla disperazione e alla perdita, il salmista non si abbandona alla rassegnazione, ma anela al ritorno, al ripristino della giustizia e alla riconciliazione con la terra promessa. Questa speranza non è solo un sogno di ritorno fisico a Sion, ma anche un desiderio spirituale di ricostruzione interiore e di ritrovare la comunione perduta con DIO. Non vi dice niente per i nostri tempi moderni? Non comprendete quanto sia attuale questo scritto millenario? Ebbene lo è in quanto la Scrittura è etarna e riconosciuta internazionalmente proprio per la sua incredibile attualità, una guida del passato per il presente e verso un futuro migliore. Un canto di rimpianto per la patria perduta, un grido dell’Anima che cerca giustizia e riconciliazione in un mondo lacerato dall’ingiustizia. Eppure, nelle sue parole, dietro l’eco delle lacrime versate lungo i fiumi di Babilonia, c’è un riflesso di speranza di redenzione che risplende come la luna nell’oscurità, illuminando il cammino di chi è disposto a non cedere all’odio, ma a trovare nella fede la forza per sperare in un domani migliore. Questo grido, pur intriso di dolore, non è un canto di resa, ma una preghiera profonda e potente, che invoca non solo la liberazione fisica, ma anche una purificazione dell’anima, affinché, quando giungerà il tempo della redenzione, il cuore sia pronto ad accogliere la luce divina con purezza e rinnovata devozione.
Testo completo Salmo 137
1 Lungo i fiumi di Babilonia, ci siamo seduti e abbiamo pianto
quando ci siamo ricordati di Sion.
2 Là, sui pioppi,
abbiamo appeso le nostre cetre,
3 poiché là i nostri catturatori ci chiedevano canti,
i nostri tormentatori chiedevano canti di gioia;
dicevano: “Cantateci uno dei canti di Sion!”
4 Come possiamo cantare i canti del SIGNORE
in una terra straniera?
5 Se ti dimentico, Gerusalemme,
si dimentichi la mia destra della sua abilità.
6 Si attacchi la mia lingua al palato
se non ti ricordo,
se non considero Gerusalemme
la mia più grande gioia.
7 Ricorda, SIGNORE, ciò che fecero gli Edomiti
il giorno in cui Gerusalemme cadde.
“Demolitela,” gridavano,
“demolitela fino alle fondamenta!”
8 Figlia di Babilonia, destinata alla distruzione,
felice è colui che ti ripaga
secondo ciò che ci hai fatto.
9 Felice è colui che afferra i tuoi piccoli
e li sbatte contro le rocce.
Analisi del testo e commento
137, 1-2
Salmo 137:1
Lungo i fiumi di Babilonia, ci siamo seduti e abbiamo pianto quando ci siamo ricordati di Sion.
Salmo 137:2
Là, sui pioppi, abbiamo appeso le nostre cetre.
Identificativo del Verso | Verso in Italiano | Lingua Originale | Traslitterazione | Traduzione Letterale |
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Salmo 137:1 | Lungo i fiumi di Babilonia, ci siamo seduti e abbiamo pianto quando ci siamo ricordati di Sion. | על נהרות בבל שם ישבנו גם בכינו בזכרנו את ציון | Al neharot Bavel, sham yashavnu gam bachinu bezochrenu et Tzion | Lungo i fiumi di Babilonia, là ci siamo seduti e abbiamo pianto ricordando Sion. |
Salmo 137:2 | Là, sui pioppi, abbiamo appeso le nostre cetre. | על ערבים בתוכה תלינו כנרותינו | Al aravim betochah talinu kinnorotenu | Là, sui pioppi, abbiamo appeso le nostre cetre. |
COMMENTO
137:1-2
Il Salmo 137:1-2 ci offre un’immagine potente di un popolo esiliato, seduto lungo i fiumi di Babilonia, la città lasciva, miscredente e in decadimento per eccellenza, eppure il luogo in cui DIO ha esiliato il Suo popolo. Ognuno dei giusti riconosce la colpa (della toitalità del popolo, non propiamente pa propria) piangendo al ricordo di Sion, la città della Pace, luogo in cui dimorava DIO e la Sua Divina Presenza si sentiva. Perchè abbiamo perso tutta quella grazia? Questo si potrebvbe domandare il popolo, eppure nulla è poerduto, per il nopstro DIO, il Misericordioso, il Compassionevole. Questo lamento profondo non è solo un’espressione di dolore per una patria perduta, ma un simbolo della distanza spirituale da ciò che è sacro. Le cetre appese ai pioppi sono un segno visibile di un’adorazione sospesa, di una lode che, per il momento, rimane in silenzio.
In questo silenzio, tuttavia, non c’è resa. C’è invece un’attesa carica di speranza. Le cetre non sono state distrutte o dimenticate; sono lì, pronte a risuonare nuovamente quando il tempo della liberazione giungerà. L’Era Messianica, che i testi sacri preannunciano, sarà quel momento in cui le voci ora mute si uniranno in un nuovo canto di gioia e redenzione. Questo ritorno non sarà solo fisico, ma spirituale, un riavvicinamento al cuore di ciò che è sacro, un risveglio delle anime che hanno attraversato il deserto dell’esilio.
Il pianto lungo i fiumi di Babilonia è anche il pianto delle nostre città odierne, o almeno la tragrande maggioranza di esse. Ma questi pianti non saranno mai vani; e diventano preludio di una trasformazione. Il dolore del distacco da DIO, rappresentato in questi versetti, è il seme della futura riconciliazione e rigenerazione.
137, 3-4
Salmo 137:3
“Perché là i nostri carcerieri ci chiedevano canti, e quelli che ci tormentavano chiedevano allegria: ‘Cantateci uno dei canti di Sion!’”
Salmo 137:4
“Come potremmo cantare i canti del SIGNORE in una terra straniera?”
Identificativo del Verso | Verso in Italiano | Lingua Originale | Traslitterazione | Traduzione Letterale |
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Salmo 137:3 | “Perché là i nostri carcerieri ci chiedevano canti, e quelli che ci tormentavano chiedevano allegria: ‘Cantateci uno dei canti di Sion!’” | כי שם שאלונו שובינו דברי שיר ותוללינו שמחה שירו לנו משיר ציון | Ki sham she’alunu shovenu divrei shir ve-tolalenu simchah shiru lanu mishir Tzion | Perché là i nostri carcerieri ci chiedevano canti, e quelli che ci tormentavano allegria: ‘Cantateci uno dei canti di Sion!’ |
Salmo 137:4 | “Come potremmo cantare i canti del SIGNORE in una terra straniera?” | איך נשיר את שיר יהוה על אדמת נכר | Eich nashir et shir YHWH al admat nechar | Come potremmo cantare i canti del SIGNORE in una terra straniera? |
COMMENTO
137:3-4
In questi versetti, il Salmo 137 ci porta a riflettere su un aspetto profondo: la consapevolezza che, sebbene i canti del SIGNORE non verranno mai dimenticati dai fedeli, esistono momenti in cui non possono essere professati con gioia. La richiesta dei carcerieri di cantare i canti di Sion è un’ulteriore umiliazione, un tentativo di trasformare l’adorazione in uno spettacolo per i miscredenti. Tuttavia, il rifiuto del salmista di cantare in una terra straniera non è solo un atto di resistenza, ma una profonda dichiarazione che riconosce la tristezza insita nell’accettare la caduta.
Eppure esiste una certezza, quella che la caduta sia anche un momento di rafforzamento per il corpo e lo Spirito. Di certo non tutti i “Salmi” possono essere espressi con la stessa gioia in ogni momento, ma anche in una situazione dolorosa in cui la fede viene messa alla prova, e dove la gioia dei canti viene sospesa, non c’è mancanza di fede, ma rispetto del momento di dolore e riflessione. Questa tristezza non diminuisce l’importanza dei canti stessi, ma sottolinea che la vera lode a DIO non può essere slegata dal contesto in cui viene espressa. È un riconoscimento che la fede è viva e dinamica, capace di resistere anche nei momenti più bui, ma che a volte deve fare i conti con la realtà del dolore e della perdita.
137, 5-6
Salmo 137:5
“Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra.”
Salmo 137:6
“Mi si attacchi la lingua al palato se non mi ricordo di te, se non metto Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia.”
Identificativo del Verso | Verso in Italiano | Lingua Originale | Traslitterazione | Traduzione Letterale |
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Salmo 137:5 | “Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra.” | אם אשכחך ירושלם תשכח ימיני | Im eshkachech Yerushalayim, tishkach yemini | Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra. |
Salmo 137:6 | “Mi si attacchi la lingua al palato se non mi ricordo di te, se non metto Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia.” | תדבק לשוני לחכי אם לא אזכרכי אם לא אעלה את ירושלם על ראש שמחתי | Tidbak leshoni lechiki im lo ezkerechi im lo a’ale et Yerushalayim al rosh simchati | Mi si attacchi la lingua al palato se non mi ricordo di te, se non metto Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia. |
COMMENTO
137:5-6
In questi versetti, il Salmo 137 assume un tono solenne, esprimendo un impegno incrollabile verso Gerusalemme. Il salmista dichiara che, se mai dovesse dimenticare Gerusalemme, la sua destra (vista nella tradizione antica come metafora della parte più importante e divina del nostro corpo) dovrebbe paralizzarsi. Egli riconosce che la sua capacità di agire e di essere è indissolubilmente legata al destino della Città Santa. Questa affermazione riflette la profondità del legame dei credenti con Gerusalemme, dove dimenticare non è semplicemente una svista, ma un tradimento della propria identità e della ragione stessa della propria esistenza.
Inoltre, la preghiera che la sua lingua si attacchi al palato se dovesse fallire nel ricordare Gerusalemme sottolinea l’idea che non solo il corpo debba “perire,” ma anche la capacità di esprimersi, che è la vera grande differenza tra l’uomo e il resto del regno animale-vegetale. Il salmista promette che Gerusalemme sarà sempre la sua gioia più alta, al di sopra di tutto. Non si tratta affatto di un desiderio nostalgico, ma di una profonda dichiarazione che l’essenza spirituale e culturale di Gerusalemme è parte integrante di ogni essere che riconosce l’Unicità di DIO e la Sua Bontà infinita.
Questi versetti ci ricordano che i nostri valori e le nostre credenze più importanti devono essere difesi a tutti i costi. Non si può far crollare le colonne portanti di una casa e sperare che essa resti ancora in piedi. La preghiera non è quindi solo per il mero ricordo, ma per la forza di mantenere ciò che è più sacro al centro della nostra esistenza. Anche in esilio, anche nella sofferenza, anche nei nostri tristi giorni in cui l’amore e la religiosità sembrano eclissarsi dietro l’avidità, la popolarità, la ricerca continua della bellezza e delle cose esteriori, il ricordo di Gerusalemme deve rimanere vivido e vitale, perché è attraverso questa devozione incrollabile che il credente trae forza e ritrova la Strada Maestra.
137: 7-9
Salmo 137:7
“Ricorda, SIGNORE, quello che i figli di Edom fecero nel giorno della caduta di Gerusalemme. ‘Abbattetela,’ gridavano, ‘abbattetela fino alle fondamenta!’”
Salmo 137:8
“Figlia di Babilonia, votata alla distruzione, beato chi ti farà ciò che tu ci hai fatto.”
Salmo 137:9
“Beato chi afferrerà i tuoi piccoli e li sbatterà contro la roccia.”
Identificativo del Verso | Verso in Italiano | Lingua Originale | Traslitterazione | Traduzione Letterale |
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Salmo 137:7 | “Ricorda, SIGNORE, quello che i figli di Edom fecero nel giorno della caduta di Gerusalemme. ‘Abbattetela,’ gridavano, ‘abbattetela fino alle fondamenta!’” | זכר יהוה לבני אדום את יום ירושלם האמרים ערו ערו עד היסוד בה | Zekhor YHWH livnei Edom et yom Yerushalayim ha’omrim ar’u ar’u ad hayesod bah | Ricorda, SIGNORE, i figli di Edom, nel giorno di Gerusalemme, che dicevano: ‘Abbattetela, abbattetela fino alle fondamenta!’ |
Salmo 137:8 | “Figlia di Babilonia, votata alla distruzione, beato chi ti farà ciò che tu ci hai fatto.” | בת בבל השדודה אשרי שישלם לך את גמולך שגמלת לנו | Bat Bavel hasheduhah ashrei sheyshalem lach et gemulech shegamalet lanu | Figlia di Babilonia, devastata, beato chi ti renderà ciò che ci hai fatto. |
Salmo 137:9 | “Beato chi afferrerà i tuoi piccoli e li sbatterà contro la roccia.” | אשרי שיאחז ונפץ את עולליך אל הסלע | Ashrei sheya’hez venipetz et olalayich el hasela | Beato chi afferrerà e sbatterà i tuoi piccoli contro la roccia. |
COMMENTO
137:7-9
In questi versetti finali, il tono del Salmo 137 si sposta dal lamento e dal dolore a un grido di giustizia. Il salmista invoca il SIGNORE affinché ricordi i figli di Edom, ovvero che punisca, come è già accaduto, coloro che gioivano e incitavano alla distruzione di Gerusalemme. Un’esortazione al totale annientamento dei miscredenti, unita alla supplica non semplicemente ad una richiesta di vendetta, ma un richiamo alla cura delle profonde ferite inflitte da coloro che hanno celebrato la caduta della Città Santa. Il ricordo di questo tradimento è inciso nella coscienza collettiva del popolo, e il salmista invoca la giustizia divina contro coloro che hanno trovato piacere nella loro sofferenza.
I forti versetti che seguono riflettono l’intensità del dolore e della rabbia provati dal popolo dei credenti esiliato, trasmettendo un desiderio di giustizia che emerge dalle atrocità subite durante l’esilio. Il salmista, pur essendo un uomo di fede e pace, utilizza immagini crude, come quella dei piccoli sfracellati contro le rocce, per esprimere non un invito alla violenza, ma una potente rappresentazione della sofferenza e dell’ingiustizia vissuta.
Importante ricordare che storicamente, durante la conquista di Gerusalemme, i Babilonesi commisero atti di grande crudeltà, tra cui l’uccisione di bambini e neonati. Brutalità non rare nel mondo antico; in alcune culture pagane, i sacrifici umani, compresi quelli di bambini sfracellati sulle rocce, erano pratiche rituali frequenti. (come i Babilonesi noti per sacrificare i propri bambini al dio Moloch, offrendoli nel fuoco.
In questo contesto, il salmista adotta un’immagine così sconvolgente per enfatizzare non solo il desiderio di giustizia, ma anche per mettere in risalto la profondità della sofferenza subita dal suo popolo. La richiesta di “afferrarne i piccoli e sbatterli contro la roccia” è un grido estremo e disperato che serve come un’accusa feroce contro l’ingiustizia e il male perpetrati.
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