Chovot ha-Levavot: I doveri dei cuori

introduzione

Chovot HaLevavot (in arabo: كتاب الهداية إلى فرائض القلوب; ebraico: חובות הלבבות; inglese: I Doveri dei Cuori), è l’opera principale del rabbino ebreo Bahya ibn Paquda, maestro di spiritualità vissuto a Saragozza, in Spagna, nell’XI secolo.
È stato scritto in giudeo-arabo in alfabeto ebraico circa 1080 talvolta intitolato “Guida ai doveri del cuore”, e tradotto in ebraico da Judah ben Saul ibn Tibbon durante il 1161-80 con il titolo Torat Chovot HaLevavot. Nel 1973, Rabbi Yosef Kafih ha pubblicato la sua traduzione ebraica dall’originale arabo.

Organizzazione e influenze

I Doveri del Cuore è diviso in dieci sezioni chiamate “porte” (ebraico: שערים) corrispondenti ai dieci principi fondamentali che, secondo la visione di Bahya, costituiscono la vita spirituale umana. Questo trattato sulla vita spirituale interiore fa numerosi riferimenti a testi biblici e talmudici, attingendo anche alle influenze sufi di al-Andalus, come ai classici greco-romani tradotti dalla scuola di Hunayn ibn Ishaq.

Contenuto e messaggio

Essendo l’essenza di tutta la spiritualità il riconoscimento di DIO come unico Creatore di tutte le cose, Bahya fa dello “Sha’ar HaYihud” (Porta dell’Unità Divina) la prima e principale sezione. Prendendo come punto di partenza dalla Confessione ebraica dello Shemà: “Ascolta, o Israele: il Signore è il nostro DIO, il Signore è Uno”. Credere nel DIO Unico senza necessariamente affidarsi ad una fede cieca, la Torah fa appello alla ragione e alla conoscenza come prove dell’esistenza di DIO, è quindi un dovere per ogni credente ricercare DIO e impegnarsi per elevare la propria umana condizione.
Bahya, come altri filosofi arabi prima di lui, basa i suoi argomenti sulla Creazione, partendo dalle seguenti tre premesse:

  1. Niente crea se stesso da solo, poiché già l’atto di creare necessita della sua esistenza (vedi anche Saadia, “Emunot,” i. 2)
  2. le cause delle cose sono necessariamente limitate nel numero, e portano alla presupposizione di una causa primaria che è necessariamente auto-esistente, non avendo né inizio né fine, perché tutto ciò che ha una fine deve avere un inizio
  3. tutti gli esseri composti hanno un inizio; e una causa deve necessariamente essere creata.

Il mondo è splendidamente disposto e arredato come una grande casa, di cui il cielo forma il soffitto, la terra il pavimento, le stelle le lampade, e l’uomo è il proprietario, al quale sono sottoposti i tre regni: animale, vegetale e minerale. Ognuno è composto da quattro elementi, ma fa eccezione la sfera celeste, composta da un quinto elemento, la “Quinta Essentia” secondo Aristotele, e dal fuoco secondo altri pensatori. Questi quattro elementi stessi sono composti da materia e forma, da sostanza e qualità accidentali, come il caldo e il freddo, lo stato di moto e di riposo, e così via. Di conseguenza, l’universo, essendo una combinazione di molte forze, deve avere una potenza creatrice come causa. Né l’esistenza del mondo può essere dovuta al semplice caso, perché dove si manifesta uno scopo, ci deve essere stata una saggezza a quell’opera. L’inchiostro versato accidentalmente su un foglio di carta non può produrre una scrittura leggibile.

Unità di DIO

Bahya procede seguendo principalmente Saadia Gaon e i Mutakallimin (“Kalamisti”) per dimostrare l’unità di DIO (tawhid arabo) mostrando:

  1. Tutte le classi, le cause e i principi delle cose riconducono ad una causa principale.
  2. L’armonia di tutte le cose in natura, l’interdipendenza di tutte le creature, il meraviglioso piano e la saggezza mostrati nella struttura del più grande e del più piccolo degli esseri animali, dall’elefante alla formica, tutto indica un unico grande progettista: l’argomento fisico-teologico di Aristotele.
  3. Non c’è ragione di supporre più di un creatore, poiché il mondo non manifesta che un solo piano e un solo ordine ovunque. Nessuno, senza un motivo sufficiente, attribuirebbe una lettera scritta tutta nello stesso stile e nella stessa calligrafia a più di uno scrittore.
  4. L’ipotesi di molti creatori richiederebbe o una pluralità di esseri identici che, non avendo nulla che li distingua, non potrebbero che essere uno e lo stesso, cioè DIO, o di esseri diversi che avendo qualità diverse e mancando di alcune qualità che altri possiedono, non possono più essere infiniti e perfetti, e quindi devono essere essi stessi creati, non autoesistenti.
  5. Ogni pluralità, essendo una combinazione di unità, presuppone un’unità originaria; quindi, anche quelli che assumono una pluralità di dèi devono logicamente ammettere l’esistenza precedente di un’Unità divina, un argomento neoplatonico preso in prestito da Baḥya dai Fratelli della Purezza.
  6. Il Creatore non può condividere con le creature incidenti e sostanza. L’assunzione di una pluralità, che è un incidente e non una sostanza, abbasserebbe DIO, il Creatore, al livello delle creature.
  7. L’assunzione di due creatori renderebbe necessaria l’insufficienza di uno dei due o l’interferenza dell’uno con il potere dell’altro; e poiché la limitazione priva il Creatore del Suo potere, solo l’unità stabilisce l’onnipotenza divina.

Attributi di DIO

Adottando questa idea neoplatonica di DIO come colui che può essere sentito solo dall’Anima desiderosa, ma non afferrato dalla ragione, Bahya trova superfluo dimostrare l’incorporeità di DIO. La domanda per lui è piuttosto: come si può conoscere un essere che è così lontano dalla nostra comprensione mentale che non possiamo nemmeno definirlo? Nel rispondere a questo, Bahya distingue tra due diversi tipi di attributi, vale a dire gli attributi essenziali e quelli che sono derivati dall’attività.

Tre attributi di DIO sono essenziali, sebbene li si derivi dalla creazione:

  1. l’esistenza di DIO; poiché un essere inesistente non può creare le cose
  2. l’unità di DIO
  3. l’eternità di DIO, poiché la causa ultima di tutte le cose è necessariamente una ed eterna.

Ma Bahya sostiene che questi tre attributi sono uno e inseparabile dalla natura di DIO; infatti, sono solo attributi negativi: DIO non può essere inesistente, o un non-eterno o una non-unità, altrimenti non è DIO.

La seconda classe di attributi, quelli che derivano dall’attività, sono più frequentemente applicati a DIO nella Bibbia, e si applicano altrettanto bene alle creature che al Creatore. Questi antropomorfismi, tuttavia, sia che si parli di DIO come se avesse una forma simile a quella dell’uomo o come se mostrasse un’attività simile a quella dell’uomo, sono usati nella Bibbia solo allo scopo di impartire in un linguaggio semplice la conoscenza di DIO agli uomini che altrimenti non lo comprenderebbero; mentre il pensatore intelligente spoglierà gradualmente il Creatore di ogni qualità che lo rende simile all’uomo o a qualsiasi creatura. Essendo la vera essenza di DIO inaccessibile alla nostra comprensione, la Bibbia offre il nome di DIO come sostituto, facendone l’oggetto della riverenza umana e il centro della tradizione ancestrale. E proprio perché i più saggi tra gli uomini imparano alla fine a conoscere solo la loro incapacità di nominare DIO in modo adeguato, l’appellativo “DIO dei nostri Padri” colpirà con forza particolare tutti gli uomini allo stesso modo. Tutti i tentativi di esprimere in termini di lode tutte le qualità di DIO sono destinati a fallire.

L’incapacità dell’uomo di conoscere DIO trova il suo parallelo nell’incapacità di conoscere la propria Anima, la cui esistenza si manifesta in ogni suo atto. Come ognuno dei cinque sensi ha i suoi limiti naturali, il suono che l’orecchio ascolta, per esempio, non è percepibile dall’occhio, così la ragione umana ha i suoi limiti nella comprensione di DIO. L’insistenza nel voler conoscere il Sole al di là di ciò che è possibile all’occhio umano provoca la cecità nell’uomo; così l’insistenza nel voler conoscere Colui che è inconoscibile, non solo attraverso lo studio della Sua opera, ma attraverso i tentativi di accertare la Sua stessa essenza, disorienta e confonde la mente, così da compromettere la ragione dell’uomo.
Riflettere sulla grandezza e sulla bontà di DIO, come si manifesta in tutta la creazione, è di conseguenza il più alto dovere dell’uomo; e a questo è dedicata la seconda sezione del libro, intitolata “Sha’ar ha-Behinah” (Porta della riflessione).

La sua filosofia naturale

Bahya indica una manifestazione per la saggezza creativa in sette parti:

  1. la combinazione degli elementi di cui la terra forma il centro, con l’acqua e l’aria che la circondano e il fuoco posto al di sopra
  2. la perfezione dell’uomo come microcosmo
  3. la fisiologia e le facoltà intellettuali dell’uomo
  4. l’ordine del regno animale
  5. quello del regno vegetale le scienze
  6. le arti e le industrie dell’uomo
  7. la rivelazione divina e il benessere morale e sociale di tutte le nazioni.

Bahya sosteneva che l’uomo dovrebbe pensare alla propria meravigliosa formazione per riconoscere la saggezza del suo Creatore, esamina quindi la fisiologia e la psicologia dell’umanità, mostrando la saggezza dimostrata nella creazione di ogni organo e di ogni facoltà e disposizione dell’Anima; anche in contrasti come la memoria e la dimenticanza, quest’ultima necessaria per la pace e il divertimento dell’uomo quanto la prima per il suo progresso intellettuale. Anche nella natura, la considerazione della sublimità dei cieli e del movimento di tutte le cose, l’interscambio della luce e delle tenebre, la varietà dei colori nel regno della creazione, il timore con cui la vista dell’uomo vivente ispira il bruto, la meravigliosa fertilità di ogni chicco di grano nella terra, la grande disponibilità di quegli elementi che sono essenziali per la vita organica, come l’aria e l’acqua, e la minore frequenza di quelle cose che formano gli oggetti dell’industria e del commercio sotto forma di nutrimento e vestiario. Tutte queste e simili osservazioni tendono a riempire l’Anima dell’uomo di gratitudine e lode per l’amore provvidenziale e la saggezza del Creatore.

Adorazione di DIO

In questa visione, tale comprensione conduce necessariamente l’uomo all’adorazione di DIO, alla quale è dedicata la terza sezione, “Sha’ar Avodat Elohim” (Porta dell’adorazione divina). Ogni beneficio ricevuto dall’uomo, dice Bahya, evocherà la sua gratitudine nella stessa misura in cui è spinto da intenzioni di fare del bene, anche se una porzione di amor proprio vi si mescola, come nel caso di ciò che il genitore fa per suo figlio, che non è che una parte di se stesso, e sul quale è costruita la sua speranza per il futuro; ancora di più con ciò che il padrone fa per il suo schiavo, che è sua proprietà.

Anche la carità del ricco verso il povero è più o meno motivata dalla commiserazione, perché la vista della disgrazia provoca un dolore di cui l’atto di carità allevia il donatore; allo stesso modo tutta la disponibilità ha origine in quel sentimento di comunione che è la coscienza del bisogno reciproco. I benefici di DIO tuttavia, poggiano sull’amore senza alcuna considerazione di sé. D’altra parte, nessuna creatura è così dipendente dall’amore e dalla misericordia dell’aiuto come l’uomo dalla culla alla tomba.

Valore pedagogico della legge ebraica

L’adorazione di DIO tuttavia, in obbedienza ai Comandamenti della Legge, ha di per sé certamente un valore inequivocabile, in quanto afferma le pretese superiori della vita umana contro i desideri inferiori risvegliati e favoriti dall’uomo animale. Tuttavia non è il modo più elevato di adorare, poiché può essere spinto dalla paura del castigo divino o dal desiderio di ricompensa; oppure può essere del tutto formale, esteriore e privo di quello spirito che rafforza l’anima contro ogni tentazione e prova.

La legge ebraica è necessaria come guida per l’uomo, dice Bahya, poiché esiste nell’uomo la tendenza a condurre solo una vita sensuale e ad indulgere nelle passioni mondane. Esiste un’altra tendenza a disprezzare del tutto il mondo dei sensi e a dedicarsi solo alla vita dello Spirito. Dal suo punto di vista, entrambe le strade sono anormali e dannose: l’una è distruttiva della società; l’altra, della vita umana in entrambe le direzioni. La legge ebraica mostra quindi il modo corretto di servire DIO seguendo “una via di mezzo”, allo stesso modo lontana dalla sensualità e dal disprezzo del mondo.

Il modo di culto prescritto dalla legge ha quindi principalmente un valore pedagogico, afferma Bahya. Esso educa tutto il popolo, gli intelletti immaturi come quelli maturi, al vero servizio di DIO, che deve essere quello del cuore.

Segue un lungo dialogo tra l’Anima e l’Intelletto, sul Culto, e sulla relazione del Libero Arbitrio con la Predestinazione Divina; Bahya insiste sulla ragione umana come suprema dominatrice dell’azione e dell’inclinazione, e quindi costituisce il potere di autodeterminazione come privilegio dell’uomo.

Un altro argomento del dialogo è la fisiologia e la psicologia dell’uomo con particolare riguardo ai contrasti di gioia e dolore, paura e speranza, fortezza e codardia, vergogna e insolenza, ira e mitezza, compassione e crudeltà, orgoglio e modestia, amore e odio, generosità e avarizia, ozio e industria.

La Provvidenza Divina

Solo chi confida in DIO è indipendente e soddisfatto di ciò che ha, e gode di riposo e pace senza invidiare nessuno

La fiducia in DIO forma il titolo e il soggetto della quarta “porta”, “Sha’ar HaBitachon”. Più grande del potere magico dell’alchimista che crea tesori d’oro con la sua arte è il potere della fiducia in DIO, dice Bahya; perché solo chi confida in DIO è indipendente e soddisfatto di ciò che ha, e gode di riposo e pace senza invidiare nessuno. Tuttavia solo nel Creatore si può confidare, perché Egli provvede a tutte le Sue creature per vero amore e con la piena conoscenza di ciò che è bene per ciascuno.
In particolare, DIO provvede all’uomo in modo da dispiegare sempre più le sue facoltà con nuovi bisogni e preoccupazioni, con prove e difficoltà che mettono alla prova e rafforzano le sue forze del corpo e dell’anima. La fiducia in DIO, tuttavia, non deve impedire all’uomo di cercare i mezzi di sostentamento attraverso l’esercizio di un mestiere; né deve portarlo ad esporre la sua vita ai pericoli. In particolare il suicidio è un crimine che spesso deriva dalla mancanza di fiducia in una Provvidenza onnipotente. Allo stesso modo è una follia riporre troppa fiducia nella ricchezza e in coloro che possiedono grandi fortune. Infatti, tutto ciò che il mondo offre alla fine deluderà l’uomo; e per questa ragione i Santi e i Profeti di un tempo fuggivano spesso dalle loro cerchie familiari e dalle loro comode case per condurre una vita di clausura dedicata solo a DIO.

L’immortalità dell’Anima

Bahya qui si sofferma a lungo sulla speranza dell’immortalità, che, in contraddizione con la credenza popolare nella resurrezione corporea, egli trova intenzionalmente menzionata solo qua e là nelle Sacre Scritture.

Per Bahya la credenza nell’immortalità è puramente spirituale, come espresso in Zech. iii. 7, “Io ti do un posto tra quelli che stanno in piedi.”

Ipocrisia e scetticismo

La sincerità di intenti è il tema trattato nella quinta “porta”, chiamata “Yihud ha-Ma’aseh” (Consacrazione dell’azione a DIO); letteralmente, “Unificazione dell’azione.”

Secondo Bahya, niente è più ripugnante per l’Anima pia dell’ipocrita. Bahya considerava lo scetticismo come il mezzo principale per sedurre le persone all’ipocrisia e a tutti gli altri peccati. All’inizio, dice Bahya, il seduttore getterà nel cuore dell’uomo il dubbio sull’immortalità, per offrire una scusa gradita al sensualismo; e, se dovesse fallire, risveglierà il dubbio su DIO e sul culto divino o sulla rivelazione. Non riuscendovi, si sforzerà di mostrare la mancanza di giustizia in questo mondo, e negherà l’esistenza di una vita dopo la morte; e, infine, negherà il valore di ogni pensiero che non si rifaccia al benessere corporeo. Perciò l’uomo deve esercitare una continua vigilanza sulla purezza delle sue azioni.

Umiltà

La sesta “porta”, “Sha’ar HaKeni’ah”, riguarda l’umiltà. Si dice che l’umiltà si manifesti nella condotta gentile verso il prossimo, sia esso di pari livello o superiore, ma soprattutto nell’atteggiamento verso DIO. L’umiltà scaturisce dalla considerazione della bassa origine dell’uomo, delle vicissitudini della vita e dei propri fallimenti e mancanze rispetto ai doveri dell’uomo e alla grandezza di DIO; in modo che ogni orgoglio anche riguardo ai propri meriti sia bandito.

L’orgoglio per i beni esteriori è incompatibile con l’umiltà e deve essere soppresso; ancora di più lo è l’orgoglio derivante dall’umiliazione degli altri. C’è, tuttavia, un orgoglio che stimola le ambizioni più nobili, come l’orgoglio di poter acquisire conoscenze o di raggiungere il bene: questo è compatibile con l’umiltà, e può migliorarla.

Il pentimento

La tendenza pratica del libro è particolarmente dimostrata nella settima sezione, Shaar HaTeshuvah, la Porta del Pentimento. La maggioranza anche dei pii, dice Bahya, non sono quelli che sono stati liberi dai peccati, ma piuttosto quelli che hanno peccato una volta, ma poi si sono pentiti di averlo fatto. Poiché ci sono peccati sia di omissione che di commissione, il pentimento dell’uomo dovrebbe essere diretto in modo da stimolare la buona azione dove questa era stata trascurata, o per allenarlo ad astenersi dai desideri malvagi dove questi avevano portato ad azioni malvagie.

Il pentimento consiste in:

  1. la piena coscienza dell’atto vergognoso e un profondo rammarico per averlo commesso;
  2. una determinazione a cambiare condotta;
  3. una candida confessione del peccato e una sincera supplica a DIO per chiedere il Suo perdono;
  4. in un perfetto cambiamento di cuore.

Il vero pentimento si manifesta nel timore della giustizia di DIO, nella contrizione dell’anima, nelle lacrime, nei segni esteriori del dolore (come la moderazione del godimento sensuale e dello sfoggio, e la rinuncia a piaceri altrimenti legittimi) e in uno spirito umile, di preghiera e in una seria contemplazione del futuro dell’Anima.
La cosa più essenziale è l’interruzione delle abitudini peccaminose, perché più a lungo vi si aderisce, più difficile è porvi fine.
Un ostacolo particolare al pentimento è la procrastinazione, che aspetta un domani che potrebbe non arrivare mai. Dopo aver citato detti dei rabbini, nel senso che il peccatore che si pente può essere più alto di colui che non ha mai peccato, Bahya cita le parole di uno dei maestri ai suoi discepoli: “Se foste del tutto liberi dal peccato, dovrei temere ciò che è molto più grande del peccato, cioè l’orgoglio e l’ipocrisia.”

Vedere DIO

La prossima “porta”, intitolata Shaar Heshbon HaNefesh, Porta dell’autoesame, contiene un’esortazione a considerare il più seriamente possibile la vita, i suoi obblighi e le opportunità per il perfezionamento dell’Anima, al fine di raggiungere uno stato di purezza in cui si dispieghi la facoltà superiore dell’anima, che vede i misteri più profondi di DIO, la sublime saggezza e bellezza di un mondo superiore inaccessibile agli altri uomini.

Bahya dedica Shaar HaPerishut, Porta dell’isolamento dal mondo, alla relazione della vera religiosità con l’ascetismo. Una certa quantità di astinenza è, secondo Bahya, una disciplina necessaria per frenare la passione dell’uomo e per volgere l’anima verso il suo destino più alto. Tuttavia, la vita umana richiede la coltivazione di un mondo che DIO ha formato per essere abitato, e la perpetuazione della razza. Come tale, l’ascetismo può essere la virtù solo di pochi che si ergono come esemplari.

Una vita ascetica

Ci sono diversi modi di appartarsi dal mondo. Alcuni, per condurre una vita dedicata al mondo superiore, fuggono da questo mondo e vivono come eremiti, contrariamente al disegno del Creatore. Altri si ritirano dall’agitazione del mondo e vivono una vita appartata nelle loro case. Una terza classe, che si avvicina di più ai precetti della legge ebraica, partecipa alle lotte e alle occupazioni del mondo, ma conduce una vita di astinenza e moderazione, considerando questo mondo come una preparazione per uno superiore.

Secondo Bahya, l’oggetto della pratica religiosa è l’esercizio dell’autocontrollo, il contenimento delle passioni e la messa al servizio dell’Altissimo di tutti i beni personali e di tutti gli organi della vita.

L’amore per DIO

Lo scopo dell’autodisciplina etica è l’amore di DIO, che costituisce il contenuto della decima e ultima sezione dell’opera, Shaar Ahavat Elohim, La Porta dell’Amore di DIO. Questo viene spiegato come l’anelito dell’Anima, in mezzo a tutte le attrazioni e i godimenti che la legano alla terra, per la fonte della sua vita, nella quale essa sola trova gioia e pace, anche se le vengono imposti i più grandi dolori e sofferenze. Coloro che sono impregnati di questo amore trovano facile ogni sacrificio che viene loro chiesto di fare per il loro DIO; e nessun motivo egoistico guasta la purezza del loro amore.

Bahya non è così unilaterale da raccomandare la pratica del recluso, che ha a cuore solo il benessere della propria anima. Un uomo può essere santo come un angelo, ma non eguaglierà nel merito colui che conduce i suoi simili alla rettitudine e all’amore di DIO.

Quotes

 

Quando contempliamo il mondo, diventa evidente che è il disegno di un solo pensatore e l’opera di un solo creatore. Troviamo che le sue radici e i suoi fondamenti sono simili nei suoi derivati e uniformi nelle sue parti. I segni di saggezza che si manifestano nella più piccola delle creature come nella più grande testimoniano che sono l’opera di un solo saggio Creatore. Se questo mondo avesse più di un Creatore, la forma della saggezza mostrerebbe forme diverse nelle diverse parti del mondo, e varierebbe nel suo carattere generale e nelle sue divisioni.
(Capitolo 1)

 

 

Essi (gli attributi divini) si dividono in due divisioni: Essenziali (in essenza) e Attivi (cioè dalle Sue azioni).
La ragione per cui li chiamiamo Essenziali (in essenza) è perché sono tratti permanenti di DIO, appartenenti a Lui prima che le creazioni fossero create, e dopo la loro creazione questi attributi continuano ad applicarsi a Lui e alla Sua gloriosa essenza.
Questi attributi sono tre:
1. Che Egli (permanentemente) esiste
2. Che Egli è Uno
3. Che è Eterno, senza inizio
(Capitolo 1)

 

 

Se uno schiavo ha più di un padrone, e ognuno di essi ha il potere di aiutarlo, non è possibile che riponga la sua fiducia in uno solo di essi, poiché spera di beneficiare di ogni padrone. E se un padrone può beneficiarlo più degli altri, deve confidare proporzionalmente di più in lui, anche se confida anche negli altri. E se solo uno dei maestri può beneficiarlo o nuocergli, certamente dovrebbe riporre la sua fiducia solo su quel maestro, poiché non spera di trarre beneficio dagli altri maestri. Allo stesso modo, quando un essere umano si renderà conto che nessun essere creato può beneficiarlo o danneggiarlo senza il permesso del Creatore, smetterà di avere paura di loro o di sperare in qualcosa da loro, e porrà la sua fiducia solo nel Creatore, come scritto “Non riporre la tua fiducia nei principi, né nell’uomo mortale che non ha aiuto” (Tehilim 146:3).
(Capitolo 4)

 

 

Poiché abbiamo completato in questa porta, al meglio delle nostre capacità, una giusta quantità di discussione sui temi della fiducia, è ora opportuno chiarire le cose dannose per la fiducia nell’Onnipotente. Dico che le cose dannose menzionate nelle 3 porte precedenti di questo libro sono tutte ugualmente dannose per la fiducia [in DIO].
Altre cose che causano una perdita di fiducia:
(1) L’ignoranza riguardo al Creatore e ai Suoi buoni attributi, perché chi non si rende conto della misericordia del Creatore verso le Sue creazioni, della Sua guida, provvidenza e governo su di esse, e che sono legate dalle Sue catene, sotto il Suo totale controllo – non sarà in pace e non si affiderà a Lui.
(2) Un altro, l’ignoranza dei comandamenti del Creatore, cioè la Sua torah, in cui ci ha istruito ad affidarci a Lui e a confidare in Lui, come scritto “mettetemi alla prova in questo…” (Malachia 3:10), e “confida in DIO per sempre” (Yeshaya 26:4).
(Capitolo 4)

 

 

Ma se esaminiamo ciò che c’è nei libri degli altri profeti (oltre a Moshe Rabeinu) su questo argomento [che è menzionato esplicitamente], per esempio “[E la polvere ritorna alla terra com’era,] e lo spirito ritorna a D-o, che lo ha dato” (Koheles 12:7), e “Ti darò un posto tra questi che stanno qui” (Zecharia 3: 7), e “Quanto è grande la Tua bontà che hai riservato per coloro che Ti temono” (Tehilim 31:20), e “nessun occhio ha visto O DIO all’infuori di te, che prepari per coloro che Lo aspettano” (Yeshaya 64:3), “la tua giustizia ti precederà; la gloria dell’L-rd ti raccoglierà” (Yeshaya 58:8). Quando studieremo questi e molti altri versi simili in aggiunta a ciò che i nostri Saggi ci hanno insegnato in questo, e con ciò che la nostra ragione ci dice, le nostre anime saranno in pace, e saranno assicurate dell’inevitabilità della ricompensa e della punizione nell’aldilà.
(Capitolo 5)

 

 

10. Uno che ha abituato la sua lingua a mentire e a parlare dei difetti degli altri e a denigrarli. Perché non può ricordare tutto quello che ha detto e tutti quelli di cui ha parlato a causa delle innumerevoli parole, e dimenticando le persone contro cui ha parlato. Tutto ciò è custodito contro di lui e registrato nel libro dei suoi peccati. Su di lui è detto: “Se viene a trovarmi, parla di vanità; il suo cuore raccoglie a sé l’iniquità; quando va all’estero, la racconta” (Tehilim 41:7), e “Quando hai visto un ladro, ti compiaci di lui, e fai compagnia agli adulteri” (Tehilim 50:18), e il resto della questione. Ecco, il versetto ha equiparato il parlare male al furto e all’adulterio. Così pure, è detto “si ingannano (corrompono) a vicenda e non dicono la verità; hanno insegnato alla loro lingua a dire bugie, commettono iniquità fino alla stanchezza” (Yirmiya 9:4).
(Capitolo 7)

 

 

(obbligo di non disobbedire a DIO)
Fare un conto con se stessi, quando uno sente che le sue tendenze sono di ribellarsi contro il Creatore e di rompere la Sua alleanza. Che faccia il conto con se stesso e si metta a cuore che tutto ciò che percepisce nel mondo con i suoi sensi – che siano le fondamenta della terra e i suoi rami, o i suoi elementi e composti, le sue creazioni superiori (stelle, pianeti) e inferiori (cioè le creature fisiche) – tutto ciò esiste per parola di D-o e custodisce la Sua alleanza (segue le leggi della fisica, ecc.).
(Capitolo 8)

 

 

Allora vedrà e sentirà che i suoi pensieri per le questioni di questo mondo sono il più alto dei suoi pensieri, e la sua aspirazione per questo mondo è la più alta delle sue aspirazioni, perché tutti i vari tipi di possedimenti non gli basteranno mai minimamente, al contrario egli è come un fuoco, più legna si aggiunge, più aumenta le fiamme, e tutto il suo cuore e il suo intento saranno attirati ad esso giorno e notte. Non considererà nessuno come un amico intimo se non colui che lo aiuta in esse, e nessuno come un amico se non colui che lo conduce ad esse. Il suo occhio sarà rivolto ai tempi in cui è bene comprare e ai tempi in cui è bene vendere. E osserverà le questioni dei tassi di vendita per tutto il mondo. Indaga dove sono a buon mercato e dove sono cari, e quando salgono e quando scendono. Non si astiene dal viaggiare in luoghi lontani. Né il caldo, né il freddo, né il mare in tempesta, né le lunghe strade del deserto – tutto questo per la sua speranza di raggiungere la fine del suo desiderio, ma non c’è fine.
(Capitolo 8)

 

 

Iniziate dapprima trattenendo la lingua e serrando le labbra. Astenetevi dalle parole oziose, finché non riterrete che muovere il vostro arto più pesante sia più facile che muovere la lingua. Perché la lingua pecca più rapidamente di tutte le altre membra, e i suoi peccati sono più numerosi dei peccati commessi da tutte loro. Poiché si muove facilmente e rapidamente, compie facilmente la sua azione e ha il potere di fare il bene o il male senza alcun intermediario.
(Capitolo 9)

 

 

Guardate la differenza tra loro e gli uomini dall’interno puro (che servono DIO) – i loro occhi sono a riposo, i loro cuori sono sicuri, e nella loro solitudine, si dilettano a ricordare DIO, Lo ringraziano per la Sua bontà in tutte le loro situazioni. Essi afferrano rapidamente tutte le forme di profonda saggezza. Hanno strappato il velo dai loro occhi che impedisce di vedere le vie interiori. Hanno raggiunto la vera tranquillità attraverso la loro fatica. La loro tranquillità li ha portati alla gioia, il loro desiderio non li distrae, né la loro lunga vita li fa procrastinare. Sono zelanti nel prepararsi al giorno della morte e a ciò che c’è dopo. Si preparano, si rivolgono a DIO, Lo cercano, sperano in Lui e Lo servono, dicono la verità, conversano con rettitudine, senza temere il Sultano e senza essere dominati da Satana. Sono più preziosi (per DIO) di qualsiasi uomo e più custoditi di qualsiasi nazione. Il loro splendore e la loro grandezza sono più grandi di tutti, onorati nelle case di DIO e grandi agli occhi degli uomini. Nulla li distoglie dal ricordare DIO e nulla impedisce loro di ringraziarLo. La loro lingua è abituata alle lodi e ai ringraziamenti e i loro cuori sono pieni di purezza e unità.
(Capitolo 9)

 

 

Cos’è l’amore per DIO? È l’anelito dell’anima – e il suo rivolgersi, da sola, al Creatore, per potersi attaccare alla Sua luce superna. Poiché l’anima è di un’essenza pura e spirituale, tende verso le cose spirituali simili a se stessa. Per natura, si allontana da ciò che è opposto alla sua natura, cioè i corpi fisici grossolani.
Quando il Creatore, benedetto Egli sia, legò l’anima a questo corpo fisico grossolano per metterla alla prova, come avrebbe guidato il corpo. DIO suscitò l’anima a prendersi cura del corpo, e a promuovere il suo benessere, attraverso la partnership e la compagnia che era naturalmente radicata tra loro fin dall’inizio dello sviluppo (del corpo).
(Capitolo 10)

 

 

Possa DIO insegnare a noi e a voi la via del Suo servizio nella Sua misericordia e grandezza, Amen.
Queste sono le dieci strofe:
Che comprendono gli argomenti delle porte di questo libro. Una strofa per ogni porta.
(Metro: Yated, due Tenuot, Yated, due Tenuot, Yated e Tenuah nella prima metà della strofa, e ripetuto anche nella seconda metà).
(Unità di DIO) – Figlio mio, dedica la tua anima unica interamente alla sua Roccia, quando dichiari l’Unità dell’Unico DIO che ti ha formato.
(Riflessione) – Esamina, indaga e contempla le Sue meraviglie, e lascia che la comprensione e la legge della giustizia siano la tua cintura.
(Servizio) – Temi DIO e custodisci sempre le Sue testimonianze e le Sue leggi, affinché i tuoi passi non si allontanino.
(Fiducia) – Il tuo cuore sia fiducioso e sicuro, confidando in DIO, la Roccia, che sarà il tuo aiuto.
(Devozione) – Con cuore puro esegui le Sue leggi per amor Suo, e non esaltare nessun essere umano nella tua generazione.
(Sottomissione) – Vedi, che la fine di una creatura è nella polvere, sii umile per la sabbia, e la terra sarà la tua dimora.
(Pentimento) – Il discorso della tua intelligenza si opponga alla tua follia, e pentiti dalla sfacciataggine del tuo cuore e dall’inclinazione [malvagia].
(Rendi conto a DIO) – Le vie di DIO, nel giusto e corretto giudizio, cerca con saggezza nei tuoi pensieri e nel tuo essere interiore.
(Astinenza) – Allontana dal tuo cuore l’infantile e l’adolescente, e non desiderare i desideri della tua giovinezza
(amore per DIO) – Nella tua brama, vedrai il volto dell’eterno DIO, e la tua anima unica si metterà in comunione con la tua Roccia
(Capitolo 10)

 


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