Yale University Press, 1990 – 419 pagine
Qabbalah: New prospectives è la premiata nuova interpretazione del misticismo ebraico. Moshe Idel sottolinea la necessità di un approccio comparativo e fenomenologico alla Qabbalah (o “Cabala” “Kabbalah”) e la sua posizione nella storia della religione. Idel fornisce nuove intuizioni sulle origini del misticismo ebraico, la relazione tra esperienza mistica e storica, e l’impatto del misticismo ebraico sulla civiltà occidentale.
“Il libro di Idel è costellato di importanti intuizioni e approcci innovativi all’intera storia del giudaismo, e la sua padronanza sarà essenziale per tutti i seri studenti del pensiero ebraico.”
Arthur Green, New York Times Book Review
“L’originale, erudito e stimolante studio di Moshe Idel sulla Kabbalah contiene la promessa di un capolavoro.”
Elie Wiesel
“Il libro di Moshe Idel può aiutare il lettore non specializzato a riconsiderare l’intera tradizione cabalistica rispetto a molti aspetti del pensiero contemporaneo.”
Umberto Eco
“Non si può contestare l’importanza e l’originalità del lavoro di Idel. Offrendo una ricchezza di intuizioni complementari a Gershom Scholem e alla sua scuola, esso susciterà una grande attenzione e una seria discussione.”
Alexander Altmann
Riassunto
Questo libro rappresenta un nuovo approccio interpretativo di questo aspetto poco conosciuto dell’esperienza religiosa ebraica. L’autore sostiene che la Cabala è apparsa tra la fine del dodicesimo e l’inizio del tredicesimo secolo come reazione al declino delle antiche tradizioni mistiche. Questo fu causato dall’audace reinterpretazione dell’esoterismo ebraico fornita da Maimonide, così come il suo tentativo di sostituire le tradizioni mistiche con l’interpretazione filosofica. Così la Cabala storica emerge come risultato del continuo sforzo di sistematizzare gli elementi contrastanti della teurgia, del mito e del misticismo in una risposta completa alla sfida posta dal razionalismo.
Idel offre un’analisi dei due grandi orientamenti della Kabbalah: l’orientamento teosofico-teurgico e l’orientamento estatico-profetico. L’autore non fornisce un approccio isolato delle due tendenze, ma preferisce un approccio fenomenologico che discute il significato dei due modelli e le loro condizioni di emergenza, con particolare attenzione alla loro evoluzione.
Lo scopo di questo scritto è sia quello di offrire alcuni commenti personali di alcuni testi che sono rimasti inaccessibili a G. Scholemann, sia di segnalare “alcuni testi che lo studioso ha trattato frettolosamente” (pp. 43).
M. Idel usa parole chiave come: esoterismo/e oterismo, innovazione/conservatorismo, teocentrismo/antropocentrismo, teurgia/unio mystica, filosofia/cabalah, salvezza mistica dell’individuo/Escatologia nazionale; queste parole chiave sono considerate di pari importanza ai dati spaziali e temporali che definiscono ogni testo cabalistico. L’autore esamina le prime fonti ebraiche per sottolineare sia i concetti della Cabala che le tecniche mistiche che impiega. Si osserva il primo modello di Cabala, il modello teosofico-teurgico, che si concentra su due temi fondamentali: la teosofia, che fornisce un elaborato quadro teorico del mondo divino, e i metodi rituali e concreti necessari per entrare in unione con la Divinità. Questa unione è necessaria per stabilire uno stato di armonia. Così emerge una nuova forma di religiosità teocentrica, che tende a concepire la perfezione religiosa come un mezzo attraverso il quale il praticante esercita un potere effettivo sulle cose celesti senza trascurare le necessità dell’essere umano.
Il secondo grande modello della Cabala, quello estatico, è totalmente antropocentrico in quanto concepisce l’esperienza mistica del praticante come un summum bonum in sé, prestando poca attenzione ad una possibile influenza dello stato mistico sull’armonia interna del divino. L’atto teurgico, qui, si delinea nella forma dell’esperienza continua alla quale il praticante è chiamato a portare il suo contributo per unire le potenze del Divino; ma non dimentichiamo che anche questa è una tecnica teocentrica. Anche se l’atto avviene nella mente del praticante, egli deve integrare le dieci sephirot alla loro origine, come indicato nelle lettere del Tetragramma.
Nella sua analisiId el considera che i processi mentali interiori hanno la capacità di attivare i poteri divini attraverso il loro riflesso nei pensieri umani, il che porta ad una modalità di interiorizzazione con il divino, un’unione mistica con l'”imago dei” (Immagine di Dio). Molti degli esempi che riguardano il Devekut sono tratti dalle prime versioni della Cabala provenzale e catalana, o da Isacco d’Acri. Questa è una conseguenza del declino dell’interesse per Devekut, la cabala spagnola, nella seconda metà del XIII secolo. Questa tendenza appare anche nel Sefer ha-Zohar, così come nelle opere di Mosè di Leon, Jo-seph Ghikatilla, Joseph di amadan, Joseph Angelino. Idel afferma che l’esistenza di tecniche mistiche così elaborate certifica che essi erano praticanti ebrei; un ulteriore argomento è il fatto che essi non solo descrivevano le loro esperienze mistiche, ma presentavano anche le tecniche che avevano usato. Così Idel analizza due tecniche di base che venivano utilizzate: nomiche e a- omiche. Le tecniche nomiche si riferiscono alle pratiche halakhiche che saranno deliberatamente osservate dal cabalista. Sono anche chiamate Pava a, uno dei suoi obiettivi è Devekut. In altre parole, omic indica la spiritualità interiore di un percorso halakhico che diventa una tecnica mistica. Le pratiche a- omiche sono forme di attività mistica che non coinvolgono quelle halakhiche, e nei periodi tardivi del misticismo ebraico, le pratiche a- omiche formavano la parte più esoterica delle tecniche cabalistiche. Le pratiche a- omiche sono forme di attività mistica che non implicano quelle halakhiche, e nei periodi tardivi della mistica ebraica, le pratiche a-nomiche hanno formato la parte più esoterica delle tecniche cabalistiche. Lo studioso discute quattro tipi di tecniche mistiche: il pianto e l’ascesa dell’anima – che ilustrano la perpetuità della tradizione ebraica indipendentemente dalle dottrine teologiche che si sono succedute durante i secoli – e la combinazione di lettere e la contemplazione dei colori – che stanno per “le tecniche intensive specifiche del periodo medievale”.
Nella Cabala teosofica si segnala anche l’esistenza di strutture dinamiche e complete formate da potenze divine chiamate Sephirot, descritte nel Sefer
Yetzirah (fine del XIII secolo). Le Sephirot designano manifestazioni che fanno parte della struttura divina o sono direttamente collegate alla sua essenza, servendo come strumenti o vasi. Ci sono dieci Sephirot. Idel sostiene che questa decade antropomorfa divina, impiegata nel processo di creazione, faceva parte dell’antico pensiero ebraico. L’analisi dei concetti di Sephirot ha come punto di partenza la loro incomprensione sia come essenza della Divinità, senza trascurare la loro interpretazione come recipienti nel Sefer ha-Bahir, sia come modalità dell’immanenza divina grazie ad una teoria basata sull’esistenza di dieci Sephirot inferiori che formano “il mondo della Creazione” che è identico al nostro mondo o direttamente collegato ad esso. Con ulteriori ricerche sulla teoria secondo la quale un determinato sistema mistico si concentra sulle esperienze interiori piuttosto che sull’attività teurgica, Idel giunge alla conclusione che le entità che devono essere attivate non sono più le Sephirot divine, ma le Sephirot umane spirituali.
Quindi la sovrastruttura zoharica e lurianica non è intesa come integrata nell’uomo, ma, secondo quanto afferma David di Makov, attraverso l’uomo. Secondo le fonti asidiche, la Kabbalah rappresenta un paradigma della psiche umana e delle attività umane, piuttosto che un sistema teosofico. Tuttavia, M. Idel sottolinea che il mistico teosofico mira ad una chiara comprensione delle entità divine e delle relazioni tra queste, attraverso il compimento del rituale deliberatamente, permettendo così al cabalista di trascendere il mondano e di sperimentare il Divino. Il legame tra il Divino e il livello mondano può essere spiegato dalla teoria dell’emanazione: il mondo degli esseri umani è inteso come una tensione inferiore di una potenza sovramundana. La teosofia cabalistica enfatizza la trascendenza dei principali concetti trattati e l’impiego del rituale cabalistico come mezzo principale per abolire la distanza tra l’uomo e il Divino.
L’enfasi posta sull’attività umana è presentata come uno stato emozionale e non come un’attività teosofico-teurgica completa; questo ha portato ad un cambiamento di orientamento da una teurgia d’élite, che caratterizzava la Cabala di Luria, ad una popolare specifica del misticismo asidico. Tenendo conto di questo cambiamento, Idel suggerisce l’ipotesi di una più ampia diffusione della Kabbalah. Questo ci permetterà di affermare che invece di una partecipazione mistica del cabalista alla vita divina, si tratta di una partecipazione mistica del Divino nella vita umana.
Discutendo i metodi cabalistici di interpretazione, Idel critica il fatto che i ricercatori contemporanei hanno trascurato e ignorato le relazioni complete tra il cabalista come interprete e il divino, suggerendo così come alternative due di- rezioni nella Cabala: da una parte il suo simbolismo, che non si riferisce all’unione mistica, e dall’altra la sua unione mistica, che opera come un linguaggio non simbolico. Quando la Kabbalah si concentra sui processi psicologici, o quando la sua teologia è orientata più verso la filosofia che la teosofia, il ruolo del simbolo si riduce enormemente. Nel caso di Abraham Abulafia, il simbolo è completamente rimosso.
Il simbolismo nella Kabbalah può essere considerato come una parte di uno studio approfondito per la comprensione dell’attività umana orientata verso il mondo superiore, piuttosto che una rivelazione del significato inamovibile inteso su certe parole. Idel distingue tre stadi del simbolismo: la comprensione del significato teosofico-teurgico del verso, il raggiungimento dello status umano e l’instaurazione dell’armonia divina attraverso l’adempimento dei comandamenti dopo aver raggiunto la perfezione umana.
Questo nuovo modo di interpretare il simbolismo cabalistico permette all’egesis cabalistica di gettare relazioni nel mondo umano sulla struttura interna della Divinità, offrendoci così una rappresentazione del dinamismo in questo campo. La Kabbalah si caratterizza per l’importanza mostrata alla teosofia e ai processi teosofici, che è sottolineata dal suo simbolismo.
Idel sostiene che per comprendere le strutture e le dinamiche superiori della Kabbalah, il praticante è chiamato a prendere posizione nel mistero divino attraverso l’imitazione di queste dinamiche. Il ruolo principale del simbolismo è quello di riflettere la struttura teosofica.
Idel riesce in questa vasta opera ad alternare la fenomenologia, la scienza del testo, la storia e la psicologia affinché la loro fusione aiuti il lettore a considerare pienamente i vari aspetti del testo e delle idee della Kabbalah.
La prospettiva del lettore romeno sulla Kabbalah, anche se abbastanza povera per quanto riguarda il dominio del mistico, si espande sostanzialmente per la quantità e la novità delle informazioni messe insieme in questa grande opera dello studioso Idel, professore all’Università ebrea di Gerusalemme.
Parti Significative
“ci sono due tendenze principali nella Kabbalah: quella teosofico-teurgica e quella estatica[…] Il primo tipo comprende due soggetti centrali: la teosofia – una teoria della struttura elaborata del mondo divino – e il modo ritualistico ed esperienziale di relazionarsi con la divinità per indurre uno stato di armonia. […] D’altra parte, la cabala estatica è altamente antropocentrica, immaginando l’esperienza mistica dell’individuo come il summum bonum, indipendentemente dal possibile impatto di questo stato mistico sull’armonia interna del Divino”.
“…il cabalista era interessato non al testo perfezionato il cui autore è morto e non può più rispondere, ma al contatto con l’Autore vivente per il quale il testo è un intermediario. Anche quando lo pneuma era necessario per comprendere meglio la Bibbia, il contenuto di questa apprensione più profonda era, in molti casi, una migliore comprensione delle questioni divine. Secondo il filosofo francese, la morte dell’autore è una condizione per finalizzare il testo e renderlo in una perfezione statica, permettendo una relazione “completa”. Questa richiesta si basa su un atteggiamento rigido nei confronti dei contenuti, che devono essere avvicinati quando non possono più cambiare. È un assioma dei cabalisti che il testo sacro è in un continuo processo di cambiamento, evidentemente un sintomo della sua inerente infinità e divinità. Per loro, la Scrittura è un modo di superare l’eclissi post-profetica della rivelazione, un tentativo di riconquistare la presenza dell’Autore e la sua natura; il testo biblico produce un dialogo silenzioso ed eventualmente anche un’unione tra Autore e lettore,…”
“l’approccio teurgico faceva parte della concezione rabbinica classica dei comandamenti e poteva giustificatamente essere considerato come un’importante motivazione delle mizvot che, tra l’altro, contribuiva a motivare la persistente osservanza dei comandamenti da parte degli ebrei. Questo atteggiamento teocentrico presupponeva una teologia “aperta” della teosofia, condizionata dalla dinamica dell’attività umana; incentrata sulla halakhah, era un sistema strettamente nomico e, di conseguenza, esotericamente aperto a tutti gli ebrei e quindi obbligatorio.”
pagina 208
“Secondo il cabalista, ci sono tre livelli di significato nella Torah: il letterale; l’allegorico, che è l’intermediario; e il significato divino o più profondo. L’autore del Sefer ha-Zeruf, come Abulafia, considerava il significato letterale come assolutamente negativo, o addirittura demoniaco, come in questo caso; non c’è da stupirsi che l’ermeneutica di Abulafia sia culminata in un’esegesi distruttiva del testo che si è concentrata su lettere separate intese come nomi divini.”