L’indulgenza Plenaria è un aspetto della fede cristiana, affermata dalla Chiesa cattolica, che si riferisce alla possibilità di essere perdonati da una parte ben precisa delle conseguenze di un peccato (detta pena temporale), dal peccatore che abbia confessato con pentimento sincero il suo errore. Quindi per indulgenza viene significata la remissione parziale o totale (indulgenza plenaria) delle pene comunque maturate con i peccati già perdonati da DIO con la confessione. La Teologia Cattolica attualmente disciplina questo argomento con i documenti Indulgentiarum doctrina e Manuale delle indulgenze
Un tempo era necessario per ottenere l’indulgenza una penitenza che variava a seconda della gravità del peccato. Tra le più grandi richieste, vi erano i pellegrinaggi (Pellegrinaggio di Gerusalemme e di Santiago tra tutti) verso terre Sante, l’astenzione da cibi o bevande, ma anche il versamento di somme di denaro a favore del clero per beneficenza.
L’origine dell’indulgenza si fa risalire ai primi Libri della Bibbia, nell’ Testamento che la Chiesa di Rome denomina “vecchio”, secondo cui DIO istituì le seguenti ricorrenze di Indulgenza e remissione dei debiti nei confronti dei più poveri ed oppressi:
- la settimana, come memoria dei sette giorni della Creazione (Es 20,8-10), con il settimo giorno (il sabato ebraico) dedicato al riposo;
- la settimana di anni, per cui ogni settimo anno era detto sabbatico (Lv 25,1-7) e serviva a “far riposare” la terra;
- le sette settimane di anni (cioè 49 anni), stabilendo: “Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete nel paese la libertà per ogni suo abitante. Sarà per voi un Giubileo” (Lv 25,10).
Nell’anno Sabbatico e in quello Giubilare DIO comandava agli Israeliti di avere indulgenza verso i poveri (cancellando i debiti o restituendo le terre) e verso gli schiavi (liberandoli, per far memoria della misericordia di DIO che li aveva liberati dalla schiavitù d’Egitto).
L’indulgenza nelle prime comunità cristiane
Nelle comunità Cristiane originarie i peccati gravi come l’omicidio, l’adulterio e l’apostasia, ammettevano un rientro nella Comunità solo a fronte di penitenze gravi e prolungate, dette Pene Canoniche, che cambiavano in toto la vita del peccatore pentito. Questo assumeva lo status di penitente entrando nell’ordo poenitentium.
Lo stato di penitente durava lunghi anni, era estremamente gravoso e molto particolare: da quel punto in poi tutto avrebbe dichiarato il suo stato a chiunque l’avesse anche solo guardato.
Di aspetto incolto, vestito di pelle di capra e con il cilicio, con il volto segnato dai digiuni sarebbe rimasto escluso da ogni carica pubblica ed Ecclesiastica, dal matrimonio e persino dai normali lavori. Sarebbe stato un morto civile al punto che l’ingresso nell’ordo poenitentium veniva spesso sconsigliato ai giovani e concesso solo ai vecchi o ai moribondi. Tanta asprezza indusse i penitenti a cercare una via che ne mitigasse il rigore.
Un episodio che fece particolare scalpore fu questo tipo di penitenza imposta da Aurelio Ambrogio nientemeno che all’imperatore Teodosio I, per la strage che aveva ordinato a Tessalonica (IV secolo), che naturalmente non fu così grave nella forma e nella durata come quella imposta ai cittadini comuni, ma che indica quale potenza aveva acquisito la Chiesa solo pochi anni dopo la sua accettazione da parte di Costantino I.
Nei primi secoli, alcuni peccatori gravi presero a rivolgersi a confessori che attendessero il martirio per ottenere da loro un biglietto, detto libellum pacis, che inducesse il vescovo cui sarebbe stato presentato ad abbreviare o condonare la pena in virtù del sacrificio del martire.
In altri casi era lo stesso vescovo per sua decisione a condonare in tutto o in parte la penitenza pubblica di questa o quella persona. Sino all’VIII secolo, l’indulgenza era dunque uno “sconto” sulla Pena Canonica non tanto in cambio di qualcos’altro che il penitente dovesse fare o fornire, ma per pietà nei confronti della sua sofferenza, per senso di perdono. L’indulgenza in questa fase è ad personam: il confessore o il vescovo alleviano le penitenze di questa o quella persona ben precisa a fronte del compiere questa o quella azione.
Colpe e meriti: il tesoro della Chiesa
Successivamente si iniziò ad alleggerire il carico della penitenza per i peccati confessati, o in quanto a gravosità o in quanto a lunghezza, chiedendo al peccatore di compiere un’opera meritevole, come un pellegrinaggio, una visita ad un luogo Santo, o altre opere di mortificazione come digiunare. Nell’XI secolo i Papi e Vescovi iniziarono a rimettere una parte della Pena Temporale indistintamente a tutti coloro che avessero compiuto un’opera meritoria come la visita ad un monastero appena consacrato o un’elemosina ai poveri.
L’opera sarebbe servita a educare il peccatore ad una maggior santità o a riparare le conseguenze pratiche e sociali del suo peccato: ad un ladro, per esempio, si chiedeva di restituire la refurtiva o di fare una donazione in beneficenza. La pena alleviata, invece, sarebbe stata ripagata a DIO attingendo al cosiddetto tesoro della Chiesa, che la Chiesa stessa definisce come il
« valore infinito ed inesauribile che presso DIO hanno le espiazioni ed i meriti di Cristo Signore… appartiene inoltre a questo tesoro il valore veramente immenso, incommensurabile e sempre nuovo che presso DIO hanno le preghiere e le buone opere della beata Vergine Maria e di tutti i santi” » |
(Papa Paolo VI, costituzione apostolica “Indulgentiarum doctrina“, n. 6.) |
Questi meriti, in forza della “comunione dei santi”, sono considerati capaci di supplire all’esiguità di quelli del peccatore contrito, proprio in virtù dell’amore verso chi, sulla terra, ancora si trova a sperimentare la caduta di fronte alle tentazioni. Opere considerate particolarmente importanti come la partecipazione ad una crociata meritavano la remissione totale della penitenza, che i Papi accordarono largamente.
Nel 1300 papa Bonifacio VIII indisse il primo Giubileo. Sul modello della Perdonanza (istituita ad Aquila da papa Celestino V solo sei anni prima), venne offerta l’indulgenza ai pellegrini che si fossero recati a Roma e avessero visitato le basiliche papali. Altre opere di minore importanza meritavano uno “sconto” di Purgatorio quantificato in anni o in giorni, prassi che rimase in vigore fino al 1967, quando papa Paolo VI, nella costituzione apostolica Indulgentiarum doctrina abolì tale quantificazione, lasciando solo la distinzione fra indulgenza plenaria e parziale e fissando nuove norme (semplificatrici) in materia. Esse, in estrema sintesi, mettono in relazione l’indulgenza concessa dalla Chiesa con l’azione del fedele e con il fervore con cui egli si dispone alla conversione, cioè al radicale cambiamento di vita richiesto dal Vangelo e attuato per la grazia del Battesimo.
Buone opere e denaro nell’età della Riforma protestante
Nei secoli dal XIV al XVI l’uso delle indulgenze si era diffuso moltissimo e si introdusse la possibilità di ottenerle con un’offerta in denaro, detta oblatio, per supportare opere che stessero a cuore della Chiesa stessa. A mano a mano che la pratica delle indulgenze si diffuse, numerose chiese o opere di apostolato o di carità (ospizi, scuole, ospedali) vennero pagati e mantenuti grazie al denaro offerto e la Chiesa si trovò a beneficiarne notevolmente. Da un lato il penitente era solito fare un’offerta in denaro quando otteneva un’indulgenza, dall’altro l’indulgenza stessa consisteva spesso in una donazione per un’opera della Chiesa come un monastero, un’opera d’arte per una chiesa, e così via. È facile comprendere come l’intento iniziale di venire incontro alle esigenze del peccatore pentito iniziasse a pervertirsi, in alcuni casi, in puro e semplice commercio. Si diffuse, inoltre, il fenomeno della questua, cioè la richiesta di denaro per ottenere un’indulgenza, denaro che veniva raccolto dai quaestores mandati da vescovi, conventi, chiese e organismi vari. Il popolo, inoltre, non era sufficientemente preparato e istruito da comprendere la distinzione tra colpa e pena e si diffuse l’idea che l’indulgenza cancellasse non solo la pena temporale, ma anche la colpa, cioè il peccato vero e proprio: il pentimento diventava meno necessario e la stessa necessità di porsi con umiltà davanti a Dio si appiattiva, perdendo i suoi contorni.
La pratica dell’indulgenza aveva perso molto del suo valore primitivo e assunto una notevole meccanicizzazione e, considerati gli ingenti quantitativi di denaro che ne derivavano, aumentò consistentemente il numero degli abusi riducendo la questione ad un vero e proprio commercio con vere e proprie tariffe. Lo scandalo crebbe a proporzioni allarmanti quando cominciarono a circolare scritti papali e vescovili falsi che avevano l’intento di ricavare maggior denaro dichiarando questa o quella nuova indulgenza o che diffondevano puri e semplici errori teologici. Si toccò il vertice del problema quando principi e notabili pretesero di avere una parte dalle indulgenze raccolte poiché racimolate nei loro territori. La pratica dell’indulgenza aveva anche assunto una forte connotazione di obbligo sociale, poiché l’uso era tanto endemico che chi vi si sottraeva appariva come un cattivo cristiano, un peccatore incallito che non avesse umiltà sufficiente a comprendere di dover espiare le sue colpe. Poiché, inoltre, tutti peccavano, tutti dovevano partecipare e la pratica metteva in ombra le altre vie di penitenza e di santificazione. Andava così persa ogni spontaneità e il valore di crescita morale della pratica stessa.
Il Papato era conscio dello scandalo e cercò in diverse occasioni di porre un argine al problema, sia prima che anche in conseguenza della denuncia dell’allora monaco agostiniano Martin Lutero (1515), ma le misure prese non furono sufficienti ad evitare uno strappo irrimediabile: lo Scisma Protestante. Se l’abuso delle indulgenze, infatti, non fu né il solo né il principale motivo a generarlo, fu senza dubbio un elemento scatenante in un periodo di estrema tensione tra le diverse parti e aggravò le divergenze esistenti.
Anche Michelangelo Buonarroti fu uno dei tanti accusatori della degradazione nella pratica dell’indulgenza, sulla quale scrisse pure un sonetto (Sonetto X):
Qua si fa elmi di calici e spade,
e ‘l sangue di Cristo si vend’ a giumelle,
e croce e spine son lance e rotelle;
e pur da Cristo pazienza cade!
Ma non c’arivi più ‘n queste contrade,
chè n’andré ‘l sangue suo ‘nsin alle stelle,
poscia che a Roma gli vendon la pelle;
e èci d’ogni ben chiuso le strade.
S’ i’ ebbi ma’ voglia a posseder tesauro,
per ciò che qua opera da me è partita,
può quel nel manto che Medusa in Mauro.
Ma se alto in cielo è povertà gradita,
qual fia di nostro stato il gran restauro,
s’un altro segno ammorza l’altra vita?
Penitenza e sincero pentimento. Le indulgenze oggi
Il Concilio di Trento (1545-1563) usò grande rigore nel terminare gli abusi abolendo le questue e i quaestores di indulgenze. La pubblicazione di queste ultime fu riservata al vescovo e i due membri del Capitolo, da lui incaricati di ricevere le offerte spontanee dei fedeli, non potevano prelevare nessuna quota, anche minima, per loro. Dal XVI secolo ai giorni nostri il sistema delle indulgenze si andò semplificando e il Papato riuscì ad evitare gli abusi passati ponendo grande accento sulla necessità del pentimento, del perdono dato da DIO a seguito della confessione, del valore dell’indulgenza sulla sola pena temporale e della spontaneità delle offerte.
Ancora oggi l’indulgenza è in uso nella religione cattolica, che la considera una parte dogmatica dell’economia della salvezza delle anime. L’indulgenza cancella gli effetti negativi (pena temporale) di un peccato che sia stato sinceramente confessato con l’intento onesto di non ripeterlo ed aiuta il peccatore a fortificarsi moralmente e cambiare vita, eliminando da sé progressivamente il male interiore che dovrà ripudiare completamente.