È stato proprio un portavoce di Abu Mazen a ufficializzare il contenuto della telefonata. “Il presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha ricevuto una chiamata dagli Stati Uniti – afferma il portavoce palestinese Nabil Abu Rdainah in un comunicato -. Il presidente Trump ha comunicato la sua intenzione di trasferire l’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme. Il presidente Abbas – sottolinea ancora il portavoce – ha avvertito (Trump) delle pericolose conseguenze che una simile decisione potrebbe avere sul processo di pace e sulla sicurezza e stabilità della regione e del mondo”.
Trump ha avuto colloqui telefonici anche con il premier israelliano Benjamin Netanyahu, con il re di Giordania Abd Allah II e con il capo di Stato egiziano Abdel Fattah al Sisi. A chiamare è stato anche Vladimir Putin. Il Presidente russo ha infatti contattato il suo omologo palestinese sostenendo che “Mosca appoggia la ripresa dei colloqui tra Israele e le autorità palestinesi, incluso lo status di Gerusalemme”.
• ORDINI IN CASO DI RIVOLTA VIOLENTA
“Saranno oltrepasaste tutte le linee rosse”, ha dichiarato il capo di Hamas, Ismail Haniyeh, in una lettera indirizzata ai dirigenti arabi e musulmani e pubblicata dal movimento palestinese. Le forze di sicurezza israeliane sono in stato di allerta davanti al rischio di una “possibile violenta” rivolta palestinese, principalmente a Gerusalemme. La polizia israeliana, lo Shin Bet e il comando centrale dell’esercito – riferiscono i media israeliani – hanno tenuto in questi giorni numerose riunioni, in cui è stata valutata la situazione per prepararsi a una ondata di violenza e attacchi terroristici. E gli Usa hanno ordinato a diplomatici e membri dello staff del consolato Usa a Gerusalemme di non recarsi nella città vecchia, Gerusalemme Est.
“Alla luce di manifestazioni annunciate a partire dal 6 dicembre a Gerusalemme e in Gisgiordania, non è permesso al personale del governo Usa e ai loro familiari, fino a nuove comunicazioni, di effettuare spostamenti personali nella città vecchia a Gerusalemme in Gisgiordania. Comprese Betlemme e Gerico. Spostamenti ufficiali di dipendenti Usa nella città vecchia di Gerusalemme e in Cisgiordania sono consentiti soltanto se essenziali e con potenziate misure di sicurezza”, si legge nella comunicazione pubblicata sul profilo Twitter del Consolato americano a Gerusalemme.
Nel 1995, il Congresso degli Stati Uniti ha approvato il “Jerusalem Embassy Act”, la legge sull’ambasciata di Gerusalemme che invita il Paese a trasferire la sua sede diplomatica nella città santa. L’atto è vincolante ma prevede una clausola in base alla quale i presidenti americani possono rinviare l’attuazione della legge ogni sei mesi in ragione di superiori “interessi di sicurezza nazionale”. Bill Clinton, George W. Bush e Barack Obama hanno firmato questa deroga, con regolarità, ogni sei mesi. Anche lo stesso Trump, il primo giugno scorso, ha seguito l’esempio dei suoi predecessori, contravvenendo alle promesse fatte in campagna elettorale.
Tutte le guerre portano a Gerusalemme
Tutte le guerre portano a Gerusalemme, disse una volta Abdallah di Giordania, e quel che si prevede non fa sperare. Mezza Città Eterna è sotto occupazione militare dal ’67: nel 1980, quando Israele l’autoproclamò capitale, se ne andarono anche le ultime 13 ambasciate. Da allora, tutte le feluche stanno a Tel Aviv. E per evitare grane nessun presidente americano, nonostante una legge del ’95 avesse riconosciuto il nuovo status di Gerusalemme, aveva mai traslocato.
Nessun appoggio
Oggi, non c’è Paese che appoggi la scelta di Trump. «La nostra solidarietà ha un limite», dice il ministro tedesco Gabriel: «È uno sviluppo molto pericoloso, interesse di tutti che non accada». Sulla stessa linea la rappresentante Ue, Mogherini, con Italia, Belgio, Lussemburgo e il presidente francese Macron, che chiama la Casa Bianca per ricordare come questa soluzione sia incompatibile con l’idea di Due Popoli per Due Stati. «Una minaccia per la pace mondiale», avverte l’università cairota Al-Azhar, guida mondiale dei sunniti. «Gerusalemme è unica e fondamentale per le tre religioni», dice il re del Marocco a nome del Jerusalem Committee, 57 Paesi che rappresentano un miliardo d’islamici. Durissimi i turchi: «Lo status di Gerusalemme è la linea rossa per l’Islam — minaccia Erdogan —, questo errore fatale porterà alla rottura delle nostre relazioni con Israele», ricucite solo l’anno scorso dopo sei anni di gelo.
GLI STATI UNITI riconosceranno implicitamente Gerusalemme come capitale di Israele. Donald Trump dà seguito agli annunci dei giorni scorsi e comunica al presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen (Mahmoud Abbas) che trasferirà l’ambasciata statunitense da Tel Aviv alla Città santa. Una scelta che suscita preoccupazione e allarme nelle cancellerie di mezzo mondo.
Lo spostamento, come sarà ufficialmente annunciato domani, non avverrà prima di sei mesiSecondo quanto riportano fonti dell’amministrazione Usa, Trump firmerà una proroga che lascerà la rappresentanza diplomatica almeno per un altro semestre a Tel Aviv.
Ma i palestinesi hanno già annunciato “3 giorni di collera” – da mercoledì a venerdì – per protesta e hanno condannato Trump definendo la sua politica “un ricatto”. “Chiamiamo tutto il nostro popolo in Israele e nel mondo – hanno detto tutte le fazioni di Palestina – a raccogliersi nei centri delle città e di fronte alle ambasciate e consolati israeliani con l’obiettivo di portare la generale rabbia popolare”. Papa Francesco e il presidente palestinese Abu Mazen si sono già parlati al telefono, ha confermato il portavoce della Santa Sede, Greg Burke, specificando che la conversazione è avvenuta “per iniziativa di Abbas”.