Elogio alla Follia (Erasmo da Rotterdam)
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Intro di ASH

“Un’elemento essenziale per la felicità è questo: il voler essere ciò che siamo”. Quanto riesce a dire questa frase… Eppure a prima vista potrebbe sembrare banale, o al contrario criptica, ma meditandoci sufficientemente sopra se ne comprende bene la profondità. Per vivere appagati e felici dobbiamo diventare ciò che siamo realmente, e non ciò che le esperienze della vita ci hanno fatto diventare, nemmeno ciò che pensiamo superficialmente vogliamo diventare. Se sono un “buono”, non posso cercare di vivere da “cattivo” e fare il “duro”, solo perché la vita mi ha messo davanti a dure prove. Allo stesso modo, se sono Santo, nel profondo mio Spirito, non posso non comportarmi da tale, solamente perché le vicissitudini giornaliere non mi permettono di “esprimere” il mio essere. Chi vive nell’infelicità è solamente perché non ha ancora ritrovato sé stesso.

Questo è solo uno dei mille ragionamenti che il magnifico testo di Erasmo ispira ai lettori attenti. Il tipico testo che non può essere descritto, ma solamente studiato per comprenderne la potenza. Un precursore del suo tempo per la correzione ed il miglioramento della fede e dell’istituzione ecclesistica. In poche parole, “un maestro con un pensiero senza tempo”, questo era Erasmo.

Erasmo di Rotterdam

“E cos’è tutta questa vita se non una specie di commedia, in cui gli uomini vanno su e giù travestiti l’uno dall’altro e recitano le loro rispettive parti, finché l’uomo della proprietà non li riporta alla casa che li ospita. Eppure, spesso ordina un abito diverso, e fa indossare a colui che è appena uscito con le vesti di un re gli stracci di un mendicante. Così tutte le cose sono rappresentate per contraffazione, eppure senza questo non c’era vita”.

Uno dei più grandi pensatori, filosofi e teologi della storia. Un rivoluzionario che non ha mai “alzato” un’arma, una persona “scomoda” per gli altri, ma vera per sé stesso, in poche parole: un maestro.
Il nome completo era Desiderio Erasmo, nato il 27 ottobre 1469 (o 1466 secondo alcuni rersoconti) a Rotterdam, nell’attuale Olanda (Paesi Bassi). Morto il 12 luglio 1536, a Basilea in Svizzera. Un umanista, e il più grande studioso del Rinascimento, primo redattore del Nuovo Testamento e anche figura importantissima nella patristica e nella letteratura classica.

Utilizzando i metodi filologici sperimentati dagli umanisti italiani, Erasmo contribuì a gettare le basi per lo studio storico-critico del passato, soprattutto nei suoi studi sul Nuovo Testamento greco e sui Padri della Chiesa. I suoi scritti educativi contribuirono alla sostituzione del vecchio curriculum scolastico con il nuovo umanesimo che poneva l’accento sui classici.

Specialmente con il capolavoro “Elogio alla Follia”, Erasmo si oppose agli abusi ecclesiastici, nella speranza (e convinsione teologica) di un’epoca migliore che verrà, incoraggiando così la crescente spinta alla riforma, che trovò espressione sia nella Riforma protestante sia nella Controriforma cattolica.

La sua posizione indipendente in un’epoca di accese controversie confessionali (rifiutando sia la dottrina della predestinazione sia i poteri rivendicati per il papato) lo resero un bersaglio di sospetti per i partigiani fedeli di entrambe le parti, ma anche un faro per coloro che apprezzavano la libertà religiosa che non soccombve all’ortodossia.

Erasmo era il secondo figlio illegittimo di Roger Gerard, un sacerdote, e di Margherita, figlia di un medico.
Dopo la morte di entrambi i genitori, i tutori dei due ragazzi li mandarono in una scuola laica che promuoveva le vocazioni monastiche. Erasmo ricorderà questa scuola solo per la severa disciplina che, a suo dire, aveva lo scopo di insegnare l’umiltà spezzando lo Spirito del ragazzo. Non avendo altra scelta, entrambi i fratelli entrarono nei monasteri. Erasmo scelse i canonici agostiniani regolari di Steyn, vicino a Gouda, dove sembra sia rimasto circa sette anni (1485-92). A Steyn parafrasò le Elegantiae di Lorenzo Valla, che erano al tempo stesso un compendio di usi classici puri e un manifesto contro i “barbari” scolastici che li avevano presumibilmente corrotti. I superiori monastici di Erasmo divennero quindi dei “barbari” per lui, scoraggiando i suoi studi classici.

Dopo l’ordinazione sacerdotale (aprile 1492), fu felice di fuggire dal monastero accettando un incarico come segretario latino dell’influente Enrico di Bergen, vescovo di Cambrai. Il suo Antibarbarorum liber, contenuto in una revisione del 1494-95, è una vigorosa riaffermazione degli argomenti patristici a favore dell’utilità dei classici pagani, con una spinta polemica contro il chiostro che si era lasciato alle spalle: “Tutto il sano apprendimento è apprendimento secolare”.

Erasmo non era adatto alla vita di corte, né le cose migliorarono molto quando il vescovo fu indotto a mandarlo all’Università di Parigi per studiare teologia (1495). Non gli piaceva il regime quasi monastico del Collège de Montaigu, dove alloggiò all’inizio, e si immaginava, per bocca di un amico, seduto “con la fronte aggrottata e l’occhio vitreo” a seguire le lezioni degli scotisti. Per sostenere i suoi studi classici, iniziò ad accogliere allievi; a questo periodo (1497-1500) risalgono le prime versioni di quei sussidi al latino elegante (tra cui i Colloquia e gli Adagia) che di lì a poco sarebbero stati utilizzati nelle scuole umanistiche di tutta Europa.

Impatto e affermazione di Erasmo

Da sempre studioso, Erasmo era in grado di vedere molti lati di una stessa questione. Ma le sue oscillazioni e le sue studiate ambiguità furono apprezzate sempre meno nelle generazioni che seguirono la sua morte, mentre gli uomini si preparavano alla lotta, teologica e non, al servizio delle loro convinzioni. In seguito però, il Concilio di Trento e l’ascesa del calvinismo fecero sì che tali opinioni avessero un’influenza generalmente marginale. L’Index expurgatorius cattolico del 1571 conteneva un lungo elenco di passi sospetti da eliminare da ogni futura edizione degli scritti di Erasmo, e quelle tendenze protestanti che si avvicinano alla difesa del libero arbitrio di Erasmo, furono sconfitte dai difensori di un’ortodossia più severa. Anche in classe, la preferenza di Erasmo per il contatto diretto degli studenti con i classici lasciò il posto all’uso di compendi e manuali di retorica e logica umanistica che non assomigliavano affatto al curriculum scolastico del passato. Allo stesso modo, la tempra di studioso audace e indipendente con cui Erasmo si avvicinò al testo del Nuovo Testamento fu a lungo sommersa dalle esigenze della polemica teologica.

La reputazione di Erasmo cominciò a migliorare alla fine del XVII secolo, quando l’ultima guerra di religione in Europa stava svanendo nella memoria e studiosi come Richard Simon e Jean Le Clercq (l’editore delle opere di Erasmo) stavano nuovamente adottando un approccio più critico ai testi biblici. All’epoca di Voltaire, nel XVIII secolo, era possibile immaginare che l’intelligente e piuttosto scettico Erasmo dovesse essere un philosophe prima del tempo, le cui professioni di devozione religiosa e di sottomissione all’autorità ecclesiastica potevano essere viste come comode evasioni. Questa visione di Erasmo, curiosamente parallela a quella dei suoi critici ortodossi, è stata a lungo influente. Solo negli ultimi decenni gli studiosi hanno dato il giusto riconoscimento al fatto che l’obiettivo della sua opera era un cristianesimo purificato da una più profonda conoscenza delle sue radici storiche. Eppure non era del tutto sbagliato paragonare Erasmo a quei pensatori illuministi che, come Voltaire, difendevano in ogni occasione la libertà individuale e avevano poco da dire sulle varie solidarietà societarie che tengono insieme la società umana. Alcuni storici fanno risalire il perdurante dibattito tra questi aspetti complementari del pensiero occidentale al XII secolo, e in questo senso molto ampio Erasmo e Voltaire si trovano dalla stessa parte di una frattura, proprio come, ad esempio, Machiavelli e Rousseau. In un modo unico che fondeva le sue molteplici identità: olandese, umanista rinascimentale e cattolico pre-tridentino (anteriore al Concilio di Trento). Erasmo contribuì a costruire quella che può essere definita la tradizione liberale della cultura europea.

L’Elogio alla Follia: Descrizione

L’Elogio alla Follia (latino: Stultitiae Laus o Moriae Encomium), è un saggio scritto in latino nel 1509 da Erasmo e stampato per la prima volta nel giugno 1511. Si può considerare un attacco satirico alle superstizioni, all’ignoranza (intesa come mancato impegno nella ricerca della conoscenza) e alle varie tradizioni della società europea e della Chiesa latina che impedivano al popolo di ragionare con la propria testa, mantenendoli “deboli e controllabili”.

L’Elogio della Follia è considerata una delle opere più significative del Rinascimento.
Inizia con un encomio satirico erudito, in cui la follia elogia se stessa, alla maniera del satirico greco Luciano (II secolo d.C.), la cui opera Erasmo e Sir Thomas More avevano recentemente tradotto in latino.
In seguito nel libro assume un tono più cupo in una serie di orazioni, quando “La Follia” elogia l’autoinganno e passa a un esame satirico degli abusi pii ma superstiziosi della dottrina cattolica e delle pratiche corrotte in alcune parti della Chiesa cattolica romana.
Erasmo era da poco tornato deluso da Roma, dove aveva rifiutato offerte di avanzamento nella curia, e la Follia assume sempre più la voce castigata di Erasmo stesso. Il saggio si conclude con una dichiarazione diretta dell’ideale cristiano: “Nessun uomo è saggio in ogni momento, o è privo del suo lato cieco”.

Il saggio è pieno di allusioni classiche pronunciate in uno stile tipico dei dotti umanisti del Rinascimento. La Follia si presenta come una dea, figlia di Plutus, il dio della ricchezza, e di una ninfa, Giovinezza. È stata allattata da altre due ninfe, l’Ebbrezza e l’Ignoranza. Tra le sue fedeli compagne ci sono Philautia (amor proprio), Kolakia (adulazione), Lethe (dimenticanza), Misoponia (pigrizia), Hedone (piacere), Anoia (demenza), Tryphe (dissolutezza) e due divinità, Komos (sregolatezza) e Nigretos Hypnos (sonno pesante). La Follia si loda all’infinito, sostenendo che la vita sarebbe noiosa e sgradevole senza di lei. Riguardo l’esistenza terrena, questa “dea” afferma trionfalmente: “Non troverai nulla di divertente o fortunato che non dipenda a me”.

Aforismi e Frasi Significative

“Chi ama intensamente, infatti, non vive in se stesso ma nell’oggetto del suo amore, e quanto più riesce a uscire da se stesso per entrare nel suo amore, tanto più è felice”.

“Come non c’è nulla di più sciocco di una saggezza fuorviante, così non c’è nulla di più imprudente di una prudenza perversa. E certamente è perverso non adattarsi alle circostanze che prevalgono, rifiutarsi di ‘fare come i romani’, ignorare la massima dei frequentatori della festa ‘prendi un drink o vattene’, insistere che la commedia non sia una commedia. La vera prudenza, invece, riconosce i limiti umani e non si sforza di superarli; è disposta a seguire il branco, a trascurare i difetti con tolleranza o a condividerli con spirito amichevole. Ma, si dice, è proprio questo che intendiamo per follia. (Difficilmente lo negherò, a patto che loro contraccambino ammettendo che è proprio questo il significato del gioco della vita)”.

“E ancora, quel saggio predicatore che disse: “Lo stolto cambia come la luna, ma il saggio è permanente come il sole”, che cos’altro lasciava intendere se non che tutti gli uomini sono stolti e che il nome di saggio è proprio solo di Dio? Infatti, per luna gli interpreti intendono la natura umana e per sole Dio, l’unica fonte di luce; con ciò concorda quello che Cristo stesso nel Vangelo nega, cioè che qualcuno possa essere chiamato buono se non uno, e cioè Dio.”

“Quasi tutti i cristiani sono miseramente schiavi della cecità e dell’ignoranza, che i sacerdoti sono così lontani dall’impedire o dal rimuovere, che oscurano le tenebre e promuovono l’illusione: prevedendo saggiamente che il popolo (come le mucche, che non danno mai il loro latte così bene come quando sono dolcemente accarezzate), si separerebbe di meno se sapesse di più…”

“Eppure, in mezzo a tutta la loro prosperità, i principi mi sembrano i più sfortunati da questo punto di vista, perché, non avendo nessuno che dica loro la verità, sono costretti a ricevere adulatori per amici”.

“Gli stoici definiscono la saggezza come condotta dalla ragione, e la follia nient’altro che l’essere affrettati dalle passioni, perché altrimenti la nostra vita sarebbe stata troppo monotona e inattiva, il creatore, che dall’argilla ci ha prima temprati e formati, ha messo nella composizione della nostra umanità più di una libbra di passioni per un’oncia di ragione; e la ragione l’ha confinata nelle strette cellule del cervello, mentre ha lasciato alle passioni l’intero corpo per
corpo di spaziare.

“C’è in primo luogo un punto di contatto fra cristiani e platonici: entrambi ritengono che l’anima, irretita nei vincoli del corpo, trovi nella sua materia un impedimento alla contemplazione e alla fruizione del vero. Perciò Platone definisce la filosofia una meditazione sulla morte, perché, a somiglianza della morte, distoglie la mente dalle cose visibili e corporee. Perciò, finché l’anima fa buon uso degli organi del corpo, viene detta sana; ma quando, spezzati i vincoli, tenta d’affermarsi in piena libertà, e viene quasi meditando una fuga dal carcere corporeo, allora si parla di follia. Se per caso la cosa accade per malattia, per una qualche affezione organica, allora è pazzia conclamata. Tuttavia vediamo che anche uomini di questa specie predicono il futuro, sanno lingue e lettere che non hanno mai appreso in passato, ostentano qualcosa che appartiene decisamente all’ambito del divino.”

“Due ostacoli, principalmente, non permettono a una persona di raggiungere la conoscenza: la vergogna, che acceca lo spirito, e la paura, che vede il pericolo in ogni cosa e scoraggia la persona nella sua attività”. La follia allevia brillantemente tutte queste difficoltà. Pochi sanno quanti benefici e conforti porta la ricchezza, che non ci si vergogna mai di nulla e che non si ha mai paura!”.

“E cos’è tutta questa vita se non una specie di commedia, in cui gli uomini vanno su e giù travestiti l’uno dall’altro e recitano le loro rispettive parti, finché l’uomo della proprietà non li riporta alla casa che li ospita. Eppure, spesso ordina un abito diverso, e fa indossare a colui che è appena uscito con le vesti di un re gli stracci di un mendicante. Così tutte le cose sono rappresentate per contraffazione, eppure senza questo non c’era vita”.

“E chi è più folle, o meglio più felice, di quanti recitando ogni giorno sette versetti del salterio si ripromettono una beatitudine sconfinata? A indicare a san Bernardo quei magici versetti si crede sia stato un demone faceto, più sciocco invero che furbo, se, poveretto, rimase intrappolato nel suo stesso inganno. Roba da matti! persino io me ne vergogno. Sono cose, tuttavia, che godono l’approvazione, non solo del volgo, ma anche di chi propina insegnamenti religiosi.
O non è forse lo stesso caso di quando ogni regione reclama il suo particolare santo protettore, ognuno coi suoi poteri, ognuno venerato con determinati riti? questo fa passare il mal di denti; quello assiste le partorienti. C’è il santo che fa recuperare gli oggetti rubati, quello che rifulge benigno al naufrago, un altro che protegge il gregge; e via discorrendo. Troppo lungo sarebbe elencarli tutti. Ve ne sono che da soli possono essere utili in parecchi casi; vi ricordo la Vergine, madre di Dio, alla quale il volgo attribuisce quasi più poteri che al figlio.”

“Alla maggior parte delle persone piacerà un’opera di cattivo gusto. Niente di più naturale, perché, come le ho detto, la maggior parte della gente è stupida. Oppure, poiché gli artisti più insignificanti si compiacciono sempre della loro pochezza e si lasciano lusingare dalla moltitudine, perché dovrebbero fermarsi ad acquisire le vere grazie? Alla fine, questo non farebbe che infrangere la buona opinione che hanno di se stessi, li tranquillizzerebbe e ridurrebbe abbastanza i loro ammiratori”.

“Chi pratica la religione, invece, quanto più una cosa è attinente al corpo tanto più la trascura ed è tutto preso dalla contemplazione dell’invisibile. Gli uni mettono al primo posto le ricchezze, al secondo le comodità relative al corpo, all’ultimo l’anima: che, dopo tutto, i più neanche credono esista perché l’occhio non può scorgerla. Gli altri, invece, in primo luogo tendono con tutte le loro forze a Dio, il più semplice degli esseri; in secondo luogo a qualcosa che ancora resta nella sua cerchia: ossia all’anima, che più di tutto è vicina a Dio; trascurano la cura del corpo, disprezzano le ricchezze e ne rifuggono come da cosa immonda. Se poi non possono esimersi dall’occuparsene, ne sentono il peso e la noia; hanno, ed è come se non avessero; posseggono, ed è come se non possedessero. Nei singoli casi ci sono anche molte altre differenze di gradazione. Prima di tutto, benché tutti i sensi abbiano un legame col corpo, alcuni sono più corpulenti, come il tatto, l’udito, la vista, I’olfatto, il gusto; altri più distaccati dal corpo, come la memoria, l’intelletto, la volontà.”

“Se ti cade una pietra in testa, è davvero brutto; ma la vergogna, il disonore, l’infamia o l’insulto sono brutti solo se ci si preoccupa. Se non c’è sentimento, non c’è male. Che male può fare se ti applaudi mentre la gente ti fischia con tutte le sue forze? È l’unica cosa che ti permette di applaudire te stesso”.

“La felicità ama chi non pensa molto, ama le persone più audaci e quelle che rischiano tutto. La saggezza crea persone temibili”.

“Ci sono altri che sono ricchi solo di desideri; costruiscono bellissimi castelli d’aria e pensano che questo sia sufficiente per la felicità”.

“Se un sasso ti cade in testa, è un male; ma la vergogna, l’infamia, l’oppressione e le maledizioni fanno male solo nella misura in cui vengono percepite”.

“La parte dell’uomo veramente prudente non è quella di essere saggio al di là della sua condizione, ma di non badare a ciò che fa il mondo, o di correre con esso per compagnia”.

“Una cosa notevole accade nell’esperienza dei miei sciocchi: da loro non solo vengono ascoltate cose vere, ma persino rimproveri taglienti; così che un’affermazione che, se provenisse dalla bocca di un saggio, potrebbe essere un’offesa capitale, se proviene da uno sciocco suscita un’incredibile gioia”.

“La maggior parte delle persone è di fatto pazza, no, dovremmo dire, non c’è nessuno che non sia pazzo in diversi modi, così la necessità mette insieme i simili con i simili”.

“Osservate i nostri filosofi arcigni che si arrovellano continuamente il cervello su argomenti spinosi, e per la maggior parte li troverete invecchiati prima di essere a malapena giovani”.

[Riguardo i diversi ordini di monaci] “Buona parte della loro soddisfazione deriva dai nomi: gli uni si compiacciono del nome di Cordiglieri, distinti in Coletani, Minori, Minimi, Bollisti; altri godono del nome di Benedettini, o di Bernardini; questi di Brigidensi, quelli di Agostiniani; gli uni tengono alla denominazione di Guglielmiti, altri di Giacobiti, come se chiamarsi Cristiani fosse troppo poco.”

[Ancora riguardo “alcuni” monaci] “Qualcuno si vanterà di avere oltrepassato i sessant’anni senza toccare denaro, se non con le mani protette da due paia di guanti.”[…]”Ma Cristo, interrompendo queste vanterie che altrimenti rischierebbero di non finire più, “Di dove vie- ne, dirà, questa nuova schiatta di Giudei? Riconosco per mia una legge sola, e solo di questa non si fa parola.[parlando della Legge dell’Amore (“caritas)”]

“Ho sentito i filosofi opporsi e dire che è una cosa miserabile per un uomo essere sciocco, sbagliare e non sapere nulla di preciso. Anzi, questo è essere un uomo. E non vedo perché dovrebbero definirla miserabile, visto che siamo così nati, così cresciuti, così istruiti, anzi, questa è la condizione comune di tutti noi”.

“Pochi capiscono l’immenso vantaggio di non esitare mai e di osare tutto”.

“Non mi piace un bambino che diventa uomo troppo presto”.

Ora è la volta dei sommi pontefici, che fanno le veci di Cristo. Nessuno più di loro si troverebbe a soffrire, se tentassero di imitarne la vita: povertà, travagli, dottrina, croce, disprezzo del mondo; se pensassero al loro nome PAPA, cioè padre, e alla loro qualifica di SANTISSIMO! Chi mai spenderebbe tanto per comprarsi quel posto da difendere poi con la spada, col veleno, con tutte le forze? A quanti vantaggi dovrebbero dire addio, se la saggezza riuscisse appena a farsi sentire! Ma che dico, saggezza? Dovrei dire un grano di quel sale menzionato da Cristo. Addio a tante ricchezze, a tanti onori, e a tanto potere, a tante vittorie, a tante cariche, a tante dispense, a tante imposte, a tante indulgenze, e a tanti cavalli, muli, servi e piaceri. Guardate un po’ che mercato, che razza di messe rigogliosa, che mare di ricchezze ho concentrato in poche parole! Al loro posto veglie, digiuni, lacri- me, preghiere, prediche, studio, sospiri e mille gravose occupazioni del genere. Ancora, particolare non trascurabile, sarebbero ridotti alla fame tanti scrivani, copisti, notai, avvocati, promotori, segretari, mulattieri, palafrenieri, banchieri”


“Cos’è questa vita se non una specie di commedia, in cui gli uomini vanno su e giù travestiti l’uno dall’altro e recitano le loro rispettive parti, finché l’uomo della proprietà non li riporta alla casa che li ospita. Eppure, spesso ordina un abito diverso, e fa indossare a colui che è appena uscito con le vesti di un re gli stracci di un mendicante. Così tutte le cose sono rappresentate per contraffazione, eppure senza questo non c’era vita”.

“Convivere con i vizi dei propri amici, passarci sopra, essere ciechi e ingannati da essi, persino amare e ammirare i gravi difetti dei propri amici come se fossero virtù, non sembra piuttosto vicino alla follia?”.

“Ma chi sono coloro che per nessun altro motivo se non quello di essere stanchi della vita hanno affrettato il proprio destino? Non erano forse i più vicini alla saggezza? Tra questi, per non parlare di Diogene, Senocrate, Catone, Cassio, Bruto, il saggio Chirone, cui fu offerta l’immortalità, preferì morire piuttosto che essere sempre afflitto dalla stessa cosa”.

“I teologi fanno la fame, i fisici soffrono il freddo, gli astrologi sono derisi, i dialettici non contano nulla, mentre un solo medico vale quanto molti uomini. In questa professione quanto più uno è ignorante, avventato, leggero, tanto più è considerato dagli stessi prìncipi con tanto di corona in testa. La medicina, infatti, specialmente come viene esercitata oggi dai più, si riduce, come la retorica, a una forma di adulazione. Il secondo posto, con un brevissimo stacco, spetta ai legali – e starei per dire il primo; la loro professione, per non esprimere pareri personali, è irrisa per lo più dai filosofi, fra il generale consenso, come un’arte da asini. Tuttavia gli affari, dai più grandi ai più piccoli, sono a discrezione di questi asini. I loro latifondi si estendono, mentre il teologo, dopo essersi documentato su tutti gli aspetti della divinità, rosicchia lupini, impegnato in una guerra continua con cimici e pidocchi.”


“Dolce è la guerra per chi non l’ha vissuta”.

“Non si gode delle cose se non le si condivide con gli altri”.

“Ma, per tornare al mio progetto, qual è il potere che ha attirato quei popoli pietrosi, quercini e selvaggi nelle città se non l’adulazione? Perché nient’altro è significato da Anfione e dall’arpa di Orfeo. Cos’è che, quando la gente comune di Roma stava per distruggere tutto con il suo ammutinamento, l’ha ridotta all’obbedienza? Fu un’orazione filosofica? No, per niente. Ma una ridicola e infantile favola del ventre e del resto delle membra. E altrettanto successo ebbe Temistocle nella sua della volpe e del riccio. Quale orazione di un saggio avrebbe mai fatto presa sul popolo quanto l’invenzione di Sertorio della sua schiena bianca? O il suo ridicolo emblema di staccare la coda di un cavallo capello per capello? O come Licurgo con l’esempio dei suoi due cuccioli? Per non parlare di Minosse e Numa, che hanno governato le loro folle moltitudini con invenzioni favolose; con questo tipo di giocattoli quella grande e potente bestia che è il popolo viene comunque guidata”.

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