Ascolta il post in Audio
Getting your Trinity Audio player ready...
|
Introduzione
In un’epoca in cui le dottrine religiose ci appaiono più disunite e in conflitto che mai, scrivo questo breve trattato profondamente certo che “l’ultimo faticosissimo gradino è quello prima di un panorama mozzafiato che si sta per rivelare.”
“Il capitolo conclusivo” è iniziato, ed è pieno di paura, e ansia ed incertezza, eppure sarà lo stesso che prefigura il colpo di scena dell’epilogo. Eppure, l’esperienza umana ci insegna che proprio nei periodi di maggiore avversità, siano spesso stati i preludi di trasformazioni epocali. Solo per citare alcuni esempi più recenti, ricordiamo la grande peste del XIV secolo, che sembrò segnare il declino irreversibile dell’umanità, ma portò invece alla fine del Medioevo e diede avvio al Rinascimento, un’era di rinascita culturale e intellettuale senza precedenti. Analogamente, le feroci divisioni e i conflitti religiosi delle Guerre di Religione del XVI e XVII secolo in Europa furono seguiti dall’illuminante periodo dell’Illuminismo, che sottolineò il valore della ragione e del pensiero critico, gettando le basi per le moderne democrazie. Infine, non possiamo dimenticare il Movimento per i Diritti Civili degli anni ’60 negli Stati Uniti, nato in un momento di ingiustizia sociale e di grande tensione razziale, che ha prodotto cambiamenti significativi nella legislazione e nell’atteggiamento sociale verso la diversità e l’uguaglianza.
Così, pur nel mezzo di conflitti che rischiano di divenire “catastorfi mondiali”, di estenuanti sofferenze subite dai civili dei popoli afflitti, dell’ansia e dell’incertezza che caratterizzano questo che ad ASH riteniamo il “capitolo conclusivo” che ora viviamo, dobbiamo mantenere la fiducia che questi stessi momenti saranno il terreno da cui germoglierà un nuovo cambiamento, un epilogo che, con speranza e lavoro attivo, svelerà un’era di maggiore comprensione e armonia tra le fedi e tra gli uomini.
Senza alimentare i pensieri negativi, e quindi l’alone di male nell’etere che sembra proliferare in questi tempi (specialmente in Terra Santa), dovremmo ricordare alcuni fattori che legano eternamente come fratelli le Fedi Abramitiche e quindi Isarele, Palestina, Roma, l’Europa, l’America e naturalmente tutto il resto del Mondo.
5 fatti che non dobbiamo non dimenticare
1. Ebrei, Cristiani e Musulmani difendono valori comuni
In mezzo alla contemporanea dissonanza che troppo spesso amplifica le nostre differenze, esiste una sinfonia di principi comuni che richiede attenzione, principi che sono vitali per la prosperità della civiltà stessa. Il cristianesimo e l’islam, come la religione ebraica che li ha preceduti, non sono semplici conviventi nel panorama spirituale mondiale, ma difensori di valori che sono la quintessenza della famiglia umana: la santità della vita, la stabilità della famiglia, il fervore della devozione religiosa, il rispetto per gli anziani e il nutrimento dei giovani.
In un’epoca che è tentata di inquadrare le interazioni tra le società cristiane, ebraiche e islamiche all’interno della narrazione dello scontro e del conflitto, è fondamentale affermare e sostenere la possibilità dell’incontro, del rispetto e del dialogo. Queste grandi tradizioni di fede non hanno resistito nel corso dei secoli incitando alla guerra o alimentando semi di odio e ostilità. Al contrario, qualsiasi interpretazione che porti all’estremismo è una distorsione grossolana e grave degli insegnamenti fondamentali di queste religioni. Le tragedie provocate da tali distorsioni sono aberrazioni, perché al centro di queste fedi c’è la richiesta di una fraternità universale, che riconosce tutti gli individui come fratelli e sorelle, tutti come figli di un unico DIO. È in questo riconoscimento che troviamo l’impulso a condannare la violenza in tutte le sue forme e a sostenere la santità e la fratellanza di tutta l’umanità.
2. Gesù era ebreo
In qualsiasi discorso che riguardi l’intreccio della storia del giudaismo, del cristianesimo e dell’islam, è indispensabile riconoscere le radici giudaiche di una delle figure più centrali del credo cristiano e islamico: Gesù di Nazareth. Come afferma il Vangelo di Matteo, Gesù era “figlio di Davide, figlio di Abramo”, ancorandolo saldamente al lignaggio e all’eredità ebraica. La narrazione della vita di Gesù, così come viene riportata nelle Scritture, è inseparabile dai costumi e dalle tradizioni ebraiche. I suoi genitori erano devoti praticanti della loro fede, osservavano i riti sacri della Pasqua ebraica, aderivano alla Legge e inculcavano al figlio l’importanza del culto, come dimostra la sua regolare frequenza alla sinagoga e la sua partecipazione alle feste ebraiche.
Comprendere appieno gli insegnamenti e le azioni di Gesù significa apprezzare la sua identità di ebreo che ha vissuto in conformità con le pratiche religiose della sua comunità. Questo riconoscimento non solo arricchisce la comprensione cristiana di Gesù, ma favorisce anche un più profondo rispetto tra le relazioni tra cristiani ed ebrei. È un profondo errore, e anzi una contraddizione della fede cristiana, nutrire qualsiasi forma di antisemitismo. Tali atteggiamenti sono un affronto all’essenza stessa del ministero e del messaggio di Gesù. L’antisemitismo, in qualsiasi forma, è simile al razzismo, una piaga che è inequivocabilmente condannata al cospetto di DIO. Nutrire astio nei confronti del popolo ebraico significa mostrare disprezzo per l’eredità e la discendenza di Gesù stesso, che ha invitato tutti a vivere come fratelli. In questa luce, ai cristiani viene ricordato che amare Gesù significa anche amare il suo popolo e rispettare la fede da cui è scaturito, fede che è al centro delle tradizioni abramitiche che aspirano alla fratellanza universale sotto la provvidenza di DIO.
3. Il ponte di rispetto nel vero Islam
Come tutto: C’è il “buon Islam” (il “vero Islam”), e il “cattivo Islam”, così come buon cristianesimo, e malvagio, ottimi ebrei e cattivi ebrei, semplicemente perché esistono buone e cattive persone. Nell’Islam Gesù (in Arabo Isa, figlio di Maria) occupa un posto di profondo rispetto e significato, essendo menzionato con onore ben 48 volte nel Corano. Il suo lignaggio ebraico e la sua discendenza reale da Davide non sono semplici note a piè di pagina nelle scritture islamiche, ma parti integranti della sua identità che vengono riconosciute e venerate. Questo riconoscimento serve a ricordare che l’Islam non è isolato dai suoi predecessori abramitici, ma è intrinsecamente legato a loro attraverso profeti e narrazioni comuni.
Il Profeta Muhammad (pace su di lui) ha portato un messaggio che si basa sul rispetto per tutti i profeti che lo hanno preceduto, compreso Gesù. Venerando Gesù, i musulmani portano intrinsecamente rispetto alla tradizione ebraica da cui proveniva. Questa venerazione non è un superficiale cenno di riconoscimento, ma un profondo rispetto per chiunque creda nell’Unico e Solo DIO, come Gesù. La rappresentazione coranica di Gesù come profeta giusto, nato dalla Vergine Maria, è una narrazione che intreccia le fedi, collegando i loro seguaci in un lignaggio condiviso di devozione a DIO.
L’affermazione islamica di Gesù e di tutti gli altri profeti menzionati nelle Sacre Scritture ebraiche e cristiane significa più di una continuità intertestuale; esemplifica il profondo rispetto che il Profeta Muhammad (pace su di lui), e quindi l’Islam nel suo complesso, nutre per i credenti delle fedi monoteiste. Sottolinea un principio chiave dell’Islam: il rispetto per tutti i profeti equivale al rispetto per tutti i credenti sinceri nell’unico DIO. Questo principio favorisce un rapporto di rispetto reciproco e apre strade al dialogo e alla comprensione interreligiosa.
4. Sin da Adamo ed Eva promessa di salvezza universale
Fin dalle prime narrazioni di fede, le Scritture delineano un progetto divino di salvezza universale, un tema che risuona in tutto l’arazzo delle religioni abramitiche. Questo concetto sottolinea che la benevolenza dell’Onnipotente non è limitata, ma si estende magnanimamente all’intera umanità.
L’apostolo Paolo, nella sua prima epistola a Timoteo, articola una pietra miliare di questa teologia: “Dio nostro Salvatore… desidera che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità” (1 Timoteo 2:4). Questo passo racchiude la natura onnicomprensiva della volontà salvifica di Dio, priva di distinzioni o pregiudizi, che offre la redenzione a ogni anima.
Facendo eco a questa universalità, la Lettera agli Efesini rivela che questo piano non è stato un ripensamento, ma un proposito preordinato: “Ci ha scelti in lui prima della fondazione del mondo, perché fossimo santi e irreprensibili davanti a lui. Nell’amore ci ha predestinati all’adozione a sé come figli per mezzo di Gesù Cristo, secondo il disegno della sua volontà” (Efesini 1:4-5). Qui sta l’affermazione che l’intenzione divina per la salvezza era incorporata nell’atto stesso della creazione.
La traiettoria di questa promessa salvifica ha subito una svolta cruciale con il rifiuto iniziale degli ebrei, come descritto nelle lettere paoline. Questa divergenza è diventata il momento provvidenziale per l’inclusione dei Gentili nell’ovile della progenie di Abramo, realizzando la promessa di redenzione a un gruppo più ampio. La metafora di Paolo dell’ulivo nella sua lettera
5. In verità siamo tutti fratelli e sorelle
Nel vasto intreccio della fede umana, i fili delle nostre credenze spirituali si intrecciano per formare un quadro collettivo di unità, ricordandoci che siamo davvero tutti fratelli e sorelle, che condividono la stessa discendenza divina.
Il nostro patrimonio condiviso come figli e figlie dello stesso Padre e Creatore ci proietta in un destino in cui risiediamo sotto lo stesso “tetto” celeste, immaginato come una grande famiglia che vive insieme in pace.
Sebbene il Corano non parli esplicitamente di fratellanza tra cristiani, ebrei e musulmani, i suoi passaggi trasmettono uno spirito di inclusione e di rispetto reciproco. Un esempio toccante si trova nel versetto: “Certamente coloro che credono, coloro che seguono il Libro, gli ebrei, i cristiani e i sabei – quelli tra loro che credono in Allah e nell’Ultimo Giorno e fanno il bene – avranno la loro ricompensa presso il loro Signore, e non ci sarà alcun timore nei loro confronti e non si affliggeranno”. (Corano 2:62). Questo versetto trascende i confini delle singole identità religiose, unendo tutti coloro che hanno fede nell’Unico Dio e nel Giudizio finale, promettendo loro un destino comune libero da paura e dolore.
Sottolineando ulteriormente questa unità, il Corano consiglia: “E non litigate con la gente del Libro, se non nel modo migliore, a meno che non si tratti di coloro che fanno del male; ma dite: “Crediamo in ciò che ci è stato rivelato e che è stato rivelato a voi, e il nostro Dio e il vostro Dio sono Uno, e a Lui ci arrendiamo””. (Corano 29:46). Si tratta di un appello all’armonia e al dialogo, che riconosce il fondamento comune delle fedi monoteiste ed esorta a una sottomissione collettiva all’unico Dio che le comprende tutte.
L’etica coranica va oltre la semplice tolleranza e si estende a un principio di giustizia e benevolenza verso tutta l’umanità, a prescindere dal credo religioso. È un chiaro appello a riconoscere la nostra comune umanità e a coltivare la giustizia e la pace tra tutti i popoli. Così facendo, realizziamo la visione del Corano di una società giusta in cui la fratellanza e la sorellanza non sono vincolate dalle etichette della fede, ma si affermano attraverso la nostra comune ricerca della rettitudine e la nostra sottomissione a Colui che è la fonte di tutto.
Conclusioni
Quando rivolgiamo i nostri cuori e le nostre menti verso la Terra Santa, la nostra vocazione collettiva va oltre la semplice osservazione e si trasforma in un impegno attivo nella preghiera e negli sforzi per la pace, una pace che promette di elevare e perfezionare la nostra esistenza.
L’appello del Salmista “Pregate per la pace di Gerusalemme! “non è solo un desiderio, ma una chiamata all’azione. Risuona attraverso i secoli, implorando sicurezza all’interno delle mura della città e prosperità per i suoi abitanti. Gerusalemme, una città che ha conosciuto i tumulti della storia, assediata dagli imperi e avvolta dai conflitti, è tuttavia immaginata come un bastione di pace, simbolo di una verità profetica più profonda. In questa chiamata, c’è un riconoscimento del profondo significato di Israele – la patria promessa agli ebrei, una terra che Dio ha intrecciato con il loro destino. Pregando per la pace a Gerusalemme e in tutto Israele, invochiamo una pace che ci riempia, allineandoci con l’intenzione del Salmista per l’armonia comunitaria e il bene divino.
Questo legame storico con Israele si evolve nei nostri inni sacri e nelle nostre preghiere, mentre il Dio nazionale associato al destino di Israele diventa noto come il Signore di tutti i popoli, il Creatore dell’universo e di ogni sua creatura. L’emergere del monoteismo universalistico porta con sé una profonda implicazione: un giorno, anche coloro che ora si rivolgono agli idoli e le nazioni al di là di essi arriveranno a riconoscere questa Divinità singolare. Anche loro riconosceranno la sua sovranità e, in un momento di riconciliazione finale, si prostreranno per riconoscere la sua presenza unificante. Questa visione trasformativa ci spinge verso un futuro in cui il riconoscimento di un Dio unico e universale catalizza l’unità tra tutti i popoli, sostenuta dalla ricerca della pace e dal riconoscimento di un’eredità divina condivisa.