La misantropia (dal greco antico: μίσος, mísos, “inimicizia, avversione, odio” e ἄνθρωπος, ànthrōpos, “uomo, essere umano”) è un sentimento e un conseguente atteggiamento di disprezzo totale o mancanza di fiducia nei confronti del genere umano e delle persone in generale, caratterizzato dalla ricerca della solitudine e della pace lontano dagli altri.
Un misantropo è una persona che rifiuta la socialità (spesso questa avversione è legata all’avversione contro la Società e non necessariamente verso i singoli componenti della stessa) e non si fida del genere umano. La misantropia comunque non implica necessariamente la depressione, o una disposizione antisociale e sociopatica verso l’umanità. Il misantropo, inoltre, difficilmente ha l’intenzione di uscire dalla propria idea dell’uomo, ritenendo suddetta idea corretta, e non imputa la causa della misantropia a sé stesso, considerandosi incapace di modificare il proprio stato. Le persone misantrope tendono a tenersi propriamente alla larga dagli altri.
Forme e origini della misantropia
Benché i misantropi non esprimano fiducia per l’umanità in generale, tendono ad avere relazioni personali normali con altri individui. La misantropia può essere motivata da sentimenti di isolamento o alienazione. La misantropia può assumere talvolta forma di arroganza culturale, quando una persona prova avversione verso l’umanità per una superiorità mentale, spirituale o intellettuale sugli altri.
Può assumere diversi aspetti anche “temporanei”, specialmente in individui affetti da forti depressioni o da altri disturbi; l’aspetto più comune è classificabile come un desiderio di solitudine, alienazione o anche sentimenti estremi non necessariamente legati a qualche disturbo, come il distruggere gli oggetti o fare del male alle altre persone, spesso attraverso la violenza.
La misantropia difficilmente riesce ad attecchire completamente nella personalità di una persona: nei misantropi estremi spesso non esiste rimedio o soluzione in grado di far cambiare pensiero, mentre può essere una valvola di sfogo per quelle persone non propriamente misantrope, ma che ne abbracciano tale sentimento solo per questioni temporanee e provvisorie, spesso correlate appunto a disturbi psichici oppure a filosofie personali.
La misantropia tende a rivelarsi nell’individuo prettamente durante il transito dall’età medioadulta (35-50 anni) alla terza età, anche se non rari sono i casi di misantropia adolescenziale, essendo l’adolescenza un periodo di grande arricchimento mentale e filosofico. Infatti, molte persone nell’età compresa dai 16 ai 21 anni con problemi psichici o eccessiva emotività personale sono inclini alla misantropia. In ambito psicologico un misantropo può talvolta essere sofferente di disturbi della personalità (es. evitante, schizotipico, schizoide, paranoide), di depressione, fobia sociale o disturbi come l’hikikomori.
Rappresentazioni di misantropia sono comuni nella satira e nella comicità, anche se rappresentazioni estreme sono generalmente rare, espressioni sottili sono più comuni, specialmente quelle che evidenziano i difetti e i limiti dell’umanità. In casi estremi, i misantropi possono ritirarsi dalla società, diventando eremiti, e nella storia delle religioni Abramitiche ci sono stati molti grandi esempi di grandi personalità che hanno deciso di “ritirarsi” dalla socialità. I primi monaci (Dal latino monăchus, dal gr. mónakhos, der. di mónos “solo”), i Padri del deserto e molti Padri della Chiesa, eremiti e cenobiti si rispecchiavano altamente in questo ideale.
Spesso i misantropi vengono esclusi da certi tipi di società o altamente penalizzati, in quanto visti diversi o semplicemente dei folli. Tuttavia, la misantropia è stata largamente discussa e spiegata in svariati modi da grandi filosofi e sociologi della storia umana, come Platone, Diogene di Sinope, Aristotele, Jonathan Swift, Immanuel Kant, Arthur Schopenhauer o Emil Cioran.
La misantropia nella religione
La misantropia è stata spesso associata più ad una patologia che ad uno stato d’animo giustificato da estreme circostanze esterne. Sono proprio queste circostanze che spesso spingono uomini a grandi opere spesso molto più alte delle loro aspettative di vita.
Se si considera l’origine di Abramo (tradotto dall’Ebraico אַבְרָהָם “Aḇrāhām” “Padre di molti”; in arabo: ابراهيم, Ibrāhīm), Padre dell’Ebraismo, del Cristianesimo e dell’Islam, si ritrova in lui una misantropia che si riversa nella chiamata Divina.
Infatti Abram, figlio di un fabbricatore di statue per divinità Cananee, compiuto 75 anni obbedì ad una Visione di DIO, radunò tutti i suoi beni e partì, lasciando Haran, con sua moglie e il nipote Lot, rinnegando la sua famiglia, la sua terra e le sue origini partendo senza conoscere la sua destinazione. Una misantropia ed un ripudio delle proprie origini che lo ha condotto pellegrino su una terra che non sentiva propria, ma di DIO, e diretto verso una meta idealizzata nell’ascetismo più che da una scalata sociale.
La misantropia nella filosofia
Nella filosofia occidentale, la misantropia è stata correlata all’isolamento dalla società umana e, più propriamente, al gruppo sociale in se stesso come insieme di persone.
Nel Fedone di Platone, Socrate definisce la misantropia ai suoi allievi come un principio primitivo, quasi animalesco: “La misantropia si sviluppa quando una persona, riposto completa fiducia nei confronti di un altro che sembri essere di buon animo e veritiero, scopre poi che questa persona in realtà non lo è. Quando questo succede troppo spesso, ecco che essa comincia, inevitabilmente, a odiare tutte le persone e a non fidarsi più di nessuno.” La misantropia, per Platone, è presentata come il risultato di aspirazioni bruciate o eccessivo ottimismo nei confronti di un obiettivo o di una causa comune poi rivelatasi completamente sbagliata o errata, soprattutto alla luce del fatto che Platone sostenne questa “arte” (la misantropia) come qualcosa che possa aiutare il potenziale misantropo a riconoscere la posizione della maggioranza degli uomini tra il bene e il male, aiutandolo così a essere più prudente e a meglio identificare le intenzioni di tutti gli uomini, facendogli però perdere contemporaneamente fiducia in loro stessi.
Aristotele seguì una via molto più ontologica: il misantropo, essenzialmente un uomo solitario, non è propriamente umano: deve essere una bestia o un dio per riuscire a odiare tutti gli uomini, una visione riflessa nel Rinascimento della misantropia come “uno stadio bestiale”. È importante fare una marcata distinzione tra pessimismo filosofico e misantropia.
Immanuel Kant disse che “Dallo storto legno dell’umanità, nulla di dritto potrà mai essere creato.” anche se questa non era propriamente un’espressione riguardante l’inutilità della razza umana in sé stessa, ma più una critica allo scopo ultimo della razza umana. Kant, in seguito, specificò come l’odio della razza umana possa prendere due forme distintive: l’avversione in generale per gli uomini (Antropofobia) o l’animosità totale contro di essi. La condizione di misantropo può crescere parzialmente sia dal disprezzo sia dal proprio volere.
Un altro esempio di misantropia equivoca è una citazione di Jean-Paul Sartre: “L’inferno sono gli altri“. A primo impatto questa citazione può sembrare di stampo profondamente misantropo, ma Sartre fece un’osservazione molto precisa sulla tendenza degli esseri umani nel mancare di auto-consapevolezza. Persone ignare tendono a proiettare fuori le proprie paure e le caratteristiche personali più profonde contro le altre persone, invece di partecipare in un’espressiva introspezione di sé stessi. Quindi, quando guardano altre persone, spesso essi vedono il peggio di quella che è in realtà la propria personalità.
Il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer (che influenzò particolarmente Friedrich Nietzsche) d’altra parte fu un famoso misantropo, specialmente grazie alla sua reputazione di recluso sociale e di solitario, cosa che comprendeva anche il suo antinatalismo filosofico, trasformando la sua misantropia quindi come un effetto indesiderato della sua filosofia. Egli scrisse che “l’esistenza umana deve essere un qualche tipo di errore” anche se egli reputò necessario aggiungere, comunque, che la misantropia non è necessariamente eguale alle attitudini inumane contro l’umanità. Schopenhauer concluse, di fatto, che il trattamento etico di tutti gli altri è il miglior approccio, visto che siamo tutti compagni di sofferenza e che siamo tutti, bene o male, partecipi al voler vivere la vita in modo sufficientemente sereno per sé stessi; egli parlò anche del suicidio con comprensione e simpatia, cosa assai rara ai suoi tempi, in quanto era un tema prettamente proibito e non discusso largamente in quanto estremamente anti.
Si dice che anche Martin Heidegger mostrò segni di misantropia nei suoi pensieri riguardanti “gli altri” – come la tendenza delle persone nel confluire in un’unica visione d’insieme, che nessuno ha realmente pensato e accettato, ma è semplicemente seguita perché “loro dicono così”. Questa potrebbe esser pensata più come una critica alla conformità piuttosto che alle persone in generale. A differenza di Schopenhauer, Heidegger era assolutamente contro qualsiasi etica sistematica, anche se in alcuni suoi tardi pensieri egli stesso vide la possibilità dell’armonia tra persone come parte di un’unione di 4 soggetti: i mortali, DIO, la terra e i cieli.
La misantropia nella letteratura
La misantropia ha un ruolo fondamentale anche in molte opere letterarie o teatrali (basti pensare a Il misantropo di Molière, o I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift), oppure è una delle principali caratteristiche dell’autore. Alcuni degli autori più ricordati per la loro filosofia misantropica sono Charles Bukowski, Emil Cioran (autore di Sillogismi di amarezza o L’inconveniente di essere nati), Louis-Ferdinand Céline, J.D. Salinger e anche Mark Twain, in alcune occasioni, dimostrò un certo astio verso il genere umano. Scrive Cioran:
« Alberi massacrati. Sorgono case. Facce, facce dappertutto. L’uomo si estende. L’uomo è il cancro della terra. » |
(Emil Cioran, L’inconveniente di essere nati, 1973) |
La misantropia di Leopardi
Giacomo Leopardi venne più volte tacciato di misantropia, anche se nelle sue opere, particolarmente nelle Operette morali e nello Zibaldone, nega esplicitamente di essere misantropo:
« Chi sostiene che la mia filosofia conduce diritto alla misantropia, vede le cose molto in superficie » |
La visione del Leopardi della misantropia è un malumore, un vero e proprio odio verso i propri simili, che non si affronta quasi mai direttamente, e che deriva dalla convinzione che la propria infelicità sia causata dai propri simili.
La sua opera, secondo quanto afferma,
« mira a sanare tale malessere, sollecita gli uomini a trovare forme di solidarietà, a superare gli steccati ch’essi stessi innalzano; del male che s’arrecano l’un l’altro, non sono responsabili gli uomini […] la mia filosofia fa rea d’ogni cosa la natura, e discolpando gli uomini totalmente, rivolge l’odio, o se non altro il lamento, a principio più alto, all’origine vera de’ mali de’ viventi. » |
(Zibaldone) |
La stessa affermazione, riportata in metro poetico, è riscontrabile ne La ginestra, considerata come testamento spirituale del poeta.
« […]e incontro a questaCongiunta esser pensando,
Siccome è il vero, ed ordinata in pria L’umana compagnia, Tutti fra sé confederati estima Gli uomini, e tutti abbraccia Con vero amor, porgendo Valida e pronta ed aspettando aita Negli alterni perigli e nelle angosce Della guerra comune.[…] » |
più precisamente da Zibaldone, 4428 – “la mia filosofia, non solo non è conducente alla misantropia come può parere a chi la guarda superficialmente, e come molti l’accusano; ma di sua natura esclude la misantropia, di sua natura tende a sanare, a spegnere quel malumore, quell’odio, non sistematico, ma pur vero odio, che tanti e tanti, i quali non sono filosofi, e non vorrebbono esser chiamati né creduti misantropi, portano però cordialmente a’ loro simili, sia abitualmente, sia in occasioni particolari, a causa del male che, giustamente o ingiustamente, essi, come tutti gli altri, ricevono dagli altri uomini. La mia filosofia fa rea d’ogni cosa la natura, e discolpando gli uomini totalmente, rivolge l’odio, se non altro il lamento, a principio più alto, all’origine vera de’ mali de’ viventi.”
Ancora da “La ginestra” – “Così fatti pensieri/Quando fien, come fur, palesi al volgo, /E quell’orror che primo/Contra l’empia natura/Strinze i mortali in social catena./Fia ricondotto in parte/Da verace saper, l’onesto e il retto/Conversar cittadino, /E giustizia e pietade, altra radice/Avranno allor che non superba fole, Ove fondata probità del volgo/Così star suole in piedi/Quale star può quel ch’ha in error la sede.”