“Non c’è dio al di fuori di Dio” è un testo scritto dallo studioso musulmano iraniano-americano Reza Aslan. Il libro descrive la storia dell’Islam e sostiene un’interpretazione liberale della religione. Incolpa l’imperialismo occidentale e le errate interpretazioni del diritto islamico da parte degli studiosi del passato per le attuali controversie all’interno dell’Islam, mettendo in discussione la tesi dello “scontro delle civiltà”, ovvero la tesi che l’identità culturale e religiosa delle persone sarà la fonte primaria di conflitto mondiale dell’era post Guerra Fredda.
Un libro assolutamente da leggere per chiunque sia non solo interessato a conoscere meglio il mondo dell’Islam di ieri e di oggi, ma anche per tutti coloro che ricercano la verità storica dei fatti attraverso il percorso delle religioni Abramitiche.
Sommario
Ogni capitolo del libro tratta un argomento specifico all’interno dell’Islam. Per esempio, un capitolo è per intero dedicato alla discussa, perchè spesso male interpretata, questione della jihad, mentre altri sull’Impero Ottomano, la formazione di al-Qaeda e così continuando in ordine cronologico fino ad Osama bin Laden. In generale il libro tratta la storia dell’Islam dal punto di vista del profeta Mohammed come riformatore sociale che lotta per la parità di diritti tra gli uomini. L’autore sostiene che il Corano non ordina di coprire le donne con il velo, e che il concetto di jihad era inteso esclusivamente a scopo difensivo. Aslan si concentra principalmente sulle pratiche dell’Islam degli inizi, ma discute anche della vita all’interno dell’Impero Abbaside, dell’Impero Ottomano e del moderno mondo musulmano.
Secondo Aslan, l’Islam sta vivendo una lotta intestina tra la riforma individualistica e l’autorità clericale tradizionale simile a quella che ebbe luogo durante la Riforma del XVI secolo nel Cristianesimo. Insomma, un libro davvero interessante sia per i musulmani che per tutti coloro che vogliono sapere di più sulle origini e la crescita di questa fede Abramitica.
Parti Significative
(pag. 28)
(pag. 39)
[Riguardo l’Islam] “è la convinzione dinamica che le responsabilità spirituali e terrene di una persona sono una cosa sola, che il dovere individuale verso la comunità è indistinguibile dal suo dovere verso Dio”.
La realtà non è nè vacuità nè illusione, la realtà è Dio. “Ovunque vi volgiate, c’è il volto di Dio” recita il Corano “Dio è immenso e sapiente” (2, 115). E poichè la dottrina del Tawhid insiste sull’unicità di Dio argomentano i Sufi; allora anche la realtà deve essere unica.“L’atomo, il sole, le galassie e l’universo,
di certo non sono che nomi, immagini e forme.
In realtà sono una cosa sola e una soltanto.”Nella filosofia orientale tradizionale, questa nozione di unità radicale è spesso chiamata monismo: l’idea che tutte le cose, nonostante la loro varietà, possono essere ridotte a una singola “cosa” unificata nello spazio, nel tempo, nell’essenza o nella qualità.”
(pag. 87)
“Nell’Ummah, non c’è stata alcuna tradizione del velo fino al 627 d.C. circa, quando il cosiddetto “versetto del hijab” è sceso improvvisamente sulla comunità. Quel versetto, tuttavia, non era rivolto alle donne in generale, ma esclusivamente alle mogli di Mohammed:”
“Ma forse l’innovazione più importante nella dottrina della jihad è stata la sua assoluta proibizione di tutte le guerre, tranne quelle strettamente difensive. “Combattete alla maniera di Dio coloro che vi combattono”, dice il Corano, “ma non cominciate le ostilità; a Dio non piace l’aggressore” (2, 190). Altrove il Corano è più esplicito: “Il permesso di combattere è dato solo a coloro che sono stati oppressi… che sono stati cacciati dalle loro case per aver detto: “Dio è nostro Signore” ” (22, 39 ; corsivo dell’autore)”.
(pag. 237)
“Questo Dio creatore si chiamava Allah, che non è un nome proprio, ma una contrazione della parola al-ilah, che significa semplicemente “il Dio”.
“Ci sono sorprendenti somiglianze tra le descrizioni cristiane e coraniche dell’Apocalisse, del Giudizio Universale e del paradiso che attende coloro che sono stati salvati”.
“Ma tawhid, che letteralmente significa “farne uno”, implica qualcosa di più del semplice monoteismo. È vero, c’è un solo Dio, ma questo è solo l’inizio. Tawhid significa che Dio è Unico. Dio è l’Unità: del tutto indivisibile, del tutto unico e assolutamente indefinibile. Dio non assomiglia a nulla, né nell’essenza né negli attributi”.
“L’esempio di Mohammed deve aver avuto un effetto duraturo sui suoi primi seguaci: come ha dimostrato Nabia Abbott, nel corso dei primi due secoli dell’Islam, i musulmani hanno letto regolarmente la Torah accanto al Corano.”
Quest’ultimo punto merita di essere ripetuto. Il fatto è che per quindici secoli la scienza del commento coranico è stata dominio esclusivo degli uomini musulmani. E poiché ognuno di questi esegeti porta inevitabilmente nel Corano la propria ideologia e le proprie nozioni preconcette, non dovrebbe sorprendere sapere che certi versi sono stati letti il più delle volte nella loro interpretazione più misogina”.
“Si consideri, ad esempio, come il seguente versetto (4, 34) sugli obblighi degli uomini nei confronti delle donne sia stato reso in inglese da due contemporanei diversi ma ampiamente letti: il primo è tratto dall’edizione di Princeton, tradotta da Ahmed Ali; il secondo è tratto dalla traduzione di Majid Fakhry, pubblicata dalla New York University: Gli uomini sono il sostegno delle donne [qawwamuna ‘ala an-nisa], perché Dio dà ad alcuni più mezzi di altri, e perché spendono delle loro ricchezze (per provvedere a loro). . . Quanto alle donne che sentite contrariate, parlate con loro in modo soave; poi lasciatele sole a letto (senza molestarle) e andate a letto con loro (quando vogliono). Gli uomini si occupano delle donne, perché Allah ha fatto in modo che alcune di loro superino le altre e perché spendono parte dei loro beni. . . . E per quelle [donne] che temete possano ribellarsi, ammonitele e abbandonatele nei loro letti e picchiatele [adribuhunna]. A causa della variabilità della lingua araba, entrambe le traduzioni sono grammaticalmente, sintatticamente e definitamente corrette. La frase qawwamuna ‘ala an-nisa può essere intesa come “vegliare”, “proteggere”, “sostenere”, “assistere”, “occuparsi”, “prendersi cura” o “essere responsabile di” donne. L’ultima parola del verso, adribuhunna, che Fakhry ha reso come “picchiarle”, può anche significare “allontanarsi da loro”, “andare con loro” e, cosa notevole, anche “avere rapporti consensuali con loro”. Se la religione è davvero un’interpretazione, allora quale significato si sceglie di accettare e seguire dipende da ciò che si cerca di estrarre dal testo: se si considera il Corano come un’emancipazione femminile, allora quello di Ali; se si guarda al Corano per giustificare la violenza contro le donne, allora quello di Fakhry, traduttore del Corano”.
“Un individuo entra nelle fasi finali del Cammino quando la nafs [parola araba per il sé] inizia a rilasciare la sua presa sul qalb [il cuore], permettendo così alla ruh [Spitiro] – che è presente in tutta l’umanità, ma che è nascosta nel velo del sé – di assorbire il qalb come se fosse una goccia di rugiada sprofondata in un mare vasto e infinito. Quando questo accade, l’individuo raggiunge il fanatismo: estatico, inebriante auto-annichilimento. Questa è l’ultima stazione lungo la Via dei Sufi. È qui, alla fine del viaggio, quando l’individuo è stato spogliato del suo ego, che diventa un tutt’uno con lo Spirito Universale e raggiunge l’unità con il Divino.”
“L’hadith, nella misura in cui affrontava questioni non trattate nel Corano, sarebbe diventato uno strumento indispensabile nella formazione della legge islamica. Tuttavia, nelle loro prime fasi, gli hadith erano confusi e totalmente non regolamentati, rendendo quasi impossibile la loro autenticazione. Peggio ancora, con il passare della prima generazione di Compagni, la comunità dovette fare sempre più affidamento sulle notizie che la seconda generazione di musulmani (conosciuti come Tabiun) aveva ricevuto dalla prima; quando la seconda generazione morì, la comunità fu l’ennesimo passo lontano dalle parole e dalle azioni del Profeta. Così, ad ogni generazione successiva, la “catena di trasmissione”, o isad, che avrebbe dovuto autenticare l’hadith si è allungata e si è complicata, cosicché in meno di due secoli dopo la morte di Mohammed, nelle terre musulmane circolavano già circa settecentomila hadith, la maggior parte dei quali erano indubbiamente fabbricati da individui che cercavano di legittimare le loro particolari credenze e pratiche collegandole al Profeta. Dopo alcune generazioni, quasi ogni cosa potrebbe ottenere lo status di hadith se si pretendesse semplicemente di far risalire la sua trasmissione a Mohammed. Infatti, lo studioso ungherese Ignaz Goldziher ha documentato numerosi hadith i cui trasmettitori, secondo quanto affermato, deriverebbero da Mohammed, ma che in realtà sarebbero versi della Torah e dei Vangeli, frammenti di detti rabbinici, antiche massime persiane, passaggi della filosofia greca, proverbi indiani e persino una riproduzione quasi parola per parola del Padre Nostro. Nel IX secolo, quando la legge islamica era in fase di elaborazione, c’erano così tanti falsi hadith in circolazione nella comunità che gli studiosi di diritto musulmani li classificavano in modo un po’ stravagante in due categorie: le menzogne dette per guadagno materiale e le menzogne dette per vantaggio ideologico.”
References
- Keddie, Nikki R. (April 7, 2005). “Taking History on Faith”. The Washington Post. Retrieved May 7, 2009.
- “Author of No god but God: The Origins, Evolution and Future of Islam to speak on campus“. Stanford University press release. Published October 20, 2006. Accessed May 7, 2009.
- “God, Globalization, and the End of the War on Terror”. Bloggingheads.tv. Recorded April 10, 2009. Posted April 28, 2009.
- Shasha, David (January 2002). “No God but God: The Origins, Evolution, and Future of Islam”. International Journal of Kurdish Studies. Archived from the original on 2009-06-11. Retrieved 2009-05-08.