Balaam e Balak: la storia completa
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Introduzione

Secondo la narrazione correva l’anno 2488 dalla creazione. Il popolo ebraico, uscito da un faticoso ma trasformativo viaggio di 40 anni nel deserto, si trovò ad un bivio monumentale, durante l’accampamento ai confini con Moab (Numeri, 22:1). Questo insediamento non era solo una sorta di “traguardo” geografico, ma simboleggiava un punto fondamentale della loro odissea spirituale. Da un conglomerato di ex schiavi, si erano trasformati in una nazione definita da un’alleanza e da una missione divina, pronta a entrare nella Terra Promessa. I Moabiti, assistendo a questo accampamento, furono colti da una profonda paura, che trascendeva le preoccupazioni militari, ma radicandosi nella consapevolezza della recente vittoria del popolo ebraico sugli Emori (Numeri 21:21-31), che fungevano da guardiani di Moab. I Moabiti percepivano gli Ebrei non solo come una formidabile forza militare, ma anche come portatori di un favore e di un potere divino che a loro stessi mancava. In un intrigante intreccio di strategia politica e spinti da un comune timore esistenziale, Moab e Madian, storicamente avversari, strinsero un’alleanza contro questo nemico comune (Numeri 22:4). Tuttavia, si trattava di qualcosa di più di una semplice operazione di carattere politico, ma rappresentava la confluenza di paure comuni e il riconoscimento della necessità di un fronte unito contro un avversario dotato di uno smisurato potere spirituale. Balak, un Madianita e figlio di Zippor, fu scelto come re di Moab in una simbolica unificazione di queste due nazioni (Numeri 22:4). La strategia di Balak per contrastare la forza soprannaturale percepita dagli ebrei lo portò a cercare una forza altrettanto potente in Balaam, uno stregone e profeta rinomato per la sua capacità di benedire e maledire efficacemente (Numeri 22:5-6). La formidabile reputazione di Balaam era ben nota a Balak, forse grazie a precedenti incontri a Pesor, la città natale di Balaam. La fiducia in Balaam era ulteriormente rafforzata dai precedenti storici, in cui le maledizioni di Balaam avevano influenzato in modo significativo l’esito delle battaglie. La narrazione dello Zohar, ad esempio, racconta come le maledizioni di Balaam e di suo padre abbiano portato alla sconfitta di Moab per mano del re emorita Sichon, illustrando il potere e l’effetto delle capacità di Balaam. Sul piano metafisico, la scelta di Balaam ci appare carica di un significato simbolico più profondo, ed infatti il Midrash insegna che Balaam era la controparte negativa di Mosè (Bamidbar Rabbah 14:20). In un mondo in cui l’equilibrio si mantiene attraverso gli opposti, lo specchio oscuro di Balaam rispetto alla luce profetica di Mosè non riguardava semplicemente il potere, ma la natura di fondo delle rispettive missioni. Mentre Mosè era un tramite per la volontà divina e la rettitudine, Balaam rappresentava la deviazione della profezia, usando il suo dono per un guadagno personale e per scopi malevoli. Così, questo palcoscenico storico e teologico fu posto, segnando l’inizio di una narrazione che si addentra nel regno spirituale e profetico, evidenziando uno scontro non solo tra due nazioni, ma tra forze spirituali e visioni del mondo divergenti. Sottolinea la complessa interazione tra politica, fede e destino, intricata nel contesto di questa importante saga storica, così come è stata catturata dal testo biblico. Questo quadro ha creato lo sfondo per lo svolgimento degli eventi, preparando la scena per un incontro drammatico tra la provvidenza divina, l’azione umana e il tema generale del conflitto morale e spirituale.

Balaam: Il dilemma del profeta

Nel mondo antico, dove il potere delle parole e della profezia era tangibile quanto la forza degli eserciti, Balaam era una figura di grandissima influenza. Conosciuto in lungo e in largo per le sue capacità stregonesche e profetiche, era un uomo le cui benedizioni e maledizioni si riteneva potessero influenzare il destino delle nazioni (Numeri 22:6). La sua fama si era diffusa in tutto il Vicino Oriente e aveva raggiunto le orecchie di Balak, il re di Moab, che vedeva in lui una soluzione soprannaturale alla sua crisi esistenziale contro gli Israeliti. Il piano di Balak di usare i poteri di Balaam non era solo una strategia, ma un tentativo disperato di contrastare quella che percepiva come la protezione divina del popolo ebraico. La narrazione si svolge con Balak che invia a Balaam emissari con offerte di grandi ricchezze e onori, a testimonianza della gravità della situazione e dell’alta posta in gioco (Numeri 22:7). Balaam, consapevole del peso delle sue decisioni, ricevette i messaggeri ma non diede una risposta immediata. Anzi, disse loro che poteva agire solo secondo la volontà del Dio che gli parlava di notte (Numeri 22:8). Questa risposta mette in evidenza la duplice natura del carattere di Balaam: se da un lato era spinto dal guadagno personale e dalla vanità, dall’altro era anche consapevole di un potere superiore in gioco. Quella notte, in un incontro divino, Dio apparve a Balaam, istruendolo a non andare con i messaggeri e a non maledire gli Israeliti, perché erano un popolo benedetto (Numeri 22:12). Al mattino, Balaam trasmise questo messaggio agli emissari di Balak, sottintendendo che il suo rifiuto era dovuto al basso rango dei messaggeri piuttosto che alla proibizione divina. Questo atto di vanità e di manipolazione lasciava intendere il carattere complesso di Balaam, combattuto tra i comandi divini e l’ambizione personale. Imperterrito, Balak inviò emissari più prestigiosi, promettendo ricompense e onori maggiori (Numeri 22:15).La risposta di Balaam fu coerente: sebbene fosse tentato dalle offerte, ribadì che poteva fare solo ciò che Dio gli permetteva. Tuttavia, invitò i messaggeri a rimanere un’altra notte, indicando la speranza che Dio potesse cambiare idea (Numeri 22:19). Questa azione riflette il conflitto interiore di Balaam e la sua lotta per bilanciare il desiderio di ricchezza e di status con la realizzazione dell’autorità divina. Quella notte, in un secondo incontro divino, Dio concesse a Balaam il permesso di andare con i messaggeri, ma gli impose di pronunciare solo le parole che Dio gli avrebbe dato (Numeri 22:20).Questo permesso condizionato è un punto critico della narrazione, che evidenzia la complessità della volontà divina e il ruolo dell’agenzia umana nel compierla. Le azioni successive di Balaam, tra cui l’impazienza di intraprendere il viaggio e l’interazione con l’asino durante il percorso, svelano ulteriormente gli aspetti sfaccettati del suo carattere. La sua smania di procedere, nonostante l’avvertimento divino, e la sua incapacità di percepire l’angelo che bloccava il suo cammino (che il suo asino poteva vedere), sottolineano i limiti dei suoi poteri profetici e la sua sottomissione alla volontà divina (Numeri 22:22-33). In questa fase, la storia di Balaam è un ricco arazzo di temi: l’interazione tra l’intervento divino e l’ambizione umana, i limiti della percezione umana di fronte al divino e il complesso personaggio di Balaam, che si trova a cavallo tra il potere spirituale e il desiderio personale. L’opera pone le basi per il drammatico svolgersi degli eventi, in cui la volontà di Dio e le azioni di un uomo mosso da motivazioni contrastanti convergono in modo inaspettato e profondo.

Il ruolo di un asino nei piani divini

Quando Balaam intraprende il suo viaggio verso Moab, la narrazione prende una piega suggestiva, sottolineando la complessa interazione tra la volontà divina e le intenzioni umane (Numeri 22:21). Il disappunto di DIO per la smania di Balaam di procedere, nonostante il permesso condizionato, si manifestò in modo soprannaturale e drammatico. Un angelo, armato di spada, fu inviato per ostacolare il cammino di Balaam – un intervento invisibile a Balaam ma percepibile dal suo animale, un asino (Numeri 22:22-23). Le reazioni dell’asino di fronte all’apparizione dell’angelo fu quella di deviare dalla strada imposta dal padrone. Così si strinse contro un muro e alla fine si accovacciò, sconcertando e facendo infuriare Balaam, che lo portò a percuotere l’animale più volte (Numeri, 22:23-27). Questa serie di eventi mette in luce una profonda ironia: Balaam, un profeta che aveva fama di possedere straordinarie intuizioni spirituali, era ignaro di una presenza divina che un semplice asino poteva percepire. Il culmine di questo episodio è segnato da un evento miracoloso: l’asino parla a Balaam (Numeri 22:28-30). Questo evento straordinario non solo significa un intervento divino, ma simboleggia anche un messaggio più profondo. L’asino parlante, una creatura normalmente priva di voce, sfida Balaam, evidenziando la sua cecità nei confronti della volontà di Dio e le sue priorità sbagliate. Questo episodio rappresenta una profonda umiliazione per Balaam, un presunto veggente che si è dimostrato meno perspicace del suo stesso animale. Inoltre, la narrazione rivela uno strato più profondo del carattere di Balaam e del suo rapporto con il divino. La sua incapacità di vedere l’angelo riflette i suoi limiti spirituali, nonostante i suoi doni profetici. Illustra un tema chiave della storia: i limiti del potere e della comprensione umana di fronte ai piani divini. Il ruolo dell’asino in questo episodio è simbolico dei modi inaspettati in cui Dio può comunicare e intervenire nelle vicende umane. Sottolinea anche l’idea che i messaggi e gli avvertimenti divini possono arrivare attraverso le fonti più umili e improbabili. Il viaggio di Balaam, irto di ostacoli soprannaturali e di esperienze umilianti, prepara il terreno per il suo incontro con Balak e gli israeliti, plasmando profondamente il corso delle sue azioni e le parole che pronuncerà alla fine.

Un tramite per le benedizioni Divine

La storia di Balaam raggiunge il suo punto cruciale quando diventa un inconsapevole tramite per le benedizioni Divine per gli israeliti, sfidando le intenzioni e le aspettative del re Balak (Numeri 23-24). La narrazione illustra una profonda inversione di ruoli: Balaam, assunto per maledire, finisce per pronunciare benedizioni, mostrando la sovranità della volontà divina sui piani umani. Al suo arrivo in Moab, Balaam fu condotto da Balak a Bamot Ba’al, un luogo di culto degli idoli, che dominava l’accampamento ebraico (Numeri 22:41). Qui, Balaam istruì Balak a costruire sette altari e a offrire sacrifici, un atto che rifletteva i rituali dell’epoca e il tentativo di Balaam di accedere al potere spirituale (Numeri 23:1-2). Tuttavia, ogni volta che Balaam tentò di pronunciare maledizioni, le benedizioni affluirono al suo posto. Le sue parole: “Come posso maledire chi Dio non ha maledetto? E come potrei denunciare chi il Signore non ha denunciato?”. (Numeri 23:8), sottolineano l’inutilità di opporsi alla volontà di Dio. Le profezie di Balaam, anziché condannare gli israeliti, ne sottolineavano l’unicità e il favore divino. La più famosa di queste benedizioni, “Quanto sono belle le tue tende, o Giacobbe, i tuoi luoghi di abitazione, o Israele!” (Numeri 24:5), viene recitata ancora oggi nelle preghiere ebraiche, a testimonianza del potere duraturo delle sue parole. In un ultimo atto di visione profetica, Balaam predisse il trionfo finale di Israele sui suoi nemici e l’avvento dell’era messianica (Numeri 24:17-19). Questa profezia si discostava nettamente dalla sua missione iniziale, trasformandolo in un profeta di speranza per lo stesso popolo che era stato ingaggiato per maledire. La trasformazione di Balaam in un contenitore di benedizioni divine dimostra un tema chiave della narrazione: la supremazia del proposito divino sulle intenzioni umane. Nonostante le sue motivazioni personali e i desideri di Balak, Balaam fu costretto a benedire invece di maledire, rivelando i limiti dell’azione umana di fronte al decreto divino. La sua storia serve a ricordare i modi misteriosi in cui Dio opera, spesso trasformando i piani dei malvagi per servire uno scopo più alto e benevolo. Il viaggio di Balaam, segnato dall’intervento divino, dalla lotta spirituale e dalla sottomissione finale alla volontà di Dio, racchiude il complesso rapporto tra volontà umana, doni profetici e sovranità divina. Bibliografia
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