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Nel 1678, il sultano Mehmet IV inviò una lettera al Papa che rivela ancora nel presente non solo la complessa situazione socio-politica e religiosa dell’epoca, ma ci fornisce anche un significativo esempio di tolleranza tra fedi. Nella sua missiva, il sultano espresse un cambiamento di cuore che si rivelò cruciale per la sopravvivenza dei missionari Cappuccini nel suo impero. Originariamente incline a espellere questi missionari cristiani, Mehmet fu persuaso a rivalutare la loro presenza a seguito di due influenti fattori.
Il primo fu l’intervento del Re di Francia, Luigi XIV, la cui mediazione pacifica mitigò l’intento iniziale del sultano di espellere i missionari. Il secondo, e forse più significativo, fu l’osservazione diretta della condotta dei Cappuccini stessi. Il sultano rimase colpito dalla loro umiltà e dalla loro obbedienza, tanto che queste qualità divennero un ponte di rispetto e tolleranza tra due mondi religiosi e culturali molto diversi. La tolleranza è davvero il ponte che unisce mondi divisi, dimostrando come la comprensione e il rispetto possano facilitare la coesistenza pacifica oltre le barriere apparentemente insormontabili delle differenze religiose.
Il Testo
“Gran sacerdote di Roma e sacrificatore di Gesù, il quale fu ammazzato dagli Ebrei nella città di Gerusalemme. Questa è per darti ad intendere che da molto tempo io tramavo di far morire sterminare tutti i sacrificatori che tu hai mandato in diverse città e paesi della mia giurisdizione, ma due considerazioni fin oggi hanno raffrenato il mio giusto furore. La prima è stata la raccomandazione che mi ha fatto fare quest’anno il Re Cristianissimo, Ludovico Re dei Francesi, di cui Ambasciatori alla Porta mia Altezza, per conservazione della pace, mi hanno fatto molte suppliche sopra questo affare.^[1]
La seconda ragione è stata la grande umiltà ed ubbidienza che mi rendono questi sacrificatori e penitenti Cappuccini, a cui permetto di vivere nel mio Impero.^[2] I miei luogotenenti e governatori mi hanno riferito che il loro modo di vivere e conversare con i miei sudditi è molto modesto e senza scandalo, di che mi meraviglio grandemente e mi stupisco che il ben vivere e la virtù si ritrovino in persone infedeli, che non conoscono la potenza del Dio di Abramo e del suo incomparabile interprete, il Mosè della legge e interprete della Sua volontà (Mohammed).^[3] Queste due considerazioni non solo hanno impedito l’esecuzione della volontà che io avevo di cacciare questi penitenti fuori del mio Impero, ma hanno acceso un nuovo desiderio nell’anima mia di considerarli molto.^[4] Per questo ho dato licenza a molti di loro, che si dicono ancora servitori di un certo loro profeta nominato Francesco, di fermarsi nella mia grande città di Costantinopoli ed in essa servire il Nazareno e il loro profeta conforme ai loro statuti”^[5]
(da P. Clemente da Terzorio, Le Missioni dei Minori Cappuccini, vol. II, Roma 1914, pp. 81-82).
NOTE di ASH
Ludovico XIV di Francia, noto come il “Re Sole”, giocava un ruolo cruciale nella diplomazia europea del XVII secolo. La sua influenza si estendeva ben oltre i confini della Francia, fungendo da mediatore in conflitti internazionali e sostenendo cause religiose e politiche attraverso l’Europa e oltre.
I Cappuccini sono un ordine francescano noto per il loro impegno verso una vita di estrema povertà e dedizione al servizio degli altri, ispirati da San Francesco d’Assisi. La loro presenza nell’Impero Ottomano è parte di un più ampio movimento di missioni cristiane che miravano alla coesistenza pacifica e al dialogo interreligioso in un periodo di frequenti conflitti.
La riferimento a “infedeli” riflette una percezione comune dell’epoca riguardo agli aderenti di fedi diverse da quella islamica nell’Impero Ottomano. Tuttavia, il riconoscimento delle loro virtù da parte di Mehmet IV segnala un notevole esempio di tolleranza religiosa, sfidando le norme contemporanee.
Questa affermazione mette in luce il personale conflitto interiore di Mehmet IV tra il desiderio di seguire le tradizioni e le pressioni politiche e la sua apertura personale verso la tolleranza religiosa, stimolata dalle qualità morali dei Cappuccini.
San Francesco d’Assisi, il fondatore dell’ordine francescano dal quale i Cappuccini derivano, è spesso chiamato semplicemente “il loro profeta” dai non cristiani. La sua filosofia di vita umile e il suo impegno per la pace e il rispetto di tutte le creature viventi resonano profondamente con i valori di molte religioni, inclusa l’Islam.
La chiave della coesistenza
La chiave della coesistenza
I Cappuccini, seguendo l’esempio di San Francesco d’Assisi, adottarono un approccio basato sul dialogo e sulla modestia della vita quotidiana. Tale approccio si rivelò sorprendentemente efficace anche in un contesto inizialmente ostile come quello dell’Impero Ottomano, che non conoscevano la dottrina Cristiana, e che quindi consideravano miscredenti. Il loro modo di vivere e interagire con i sudditi musulmani del sultano Mehmet IV, caratterizzato dal rispetto, superò le barriere del pregiudizio, spingendo il sultano a riconoscere le loro virtù. Nel cuore dell’umiltà si nasconde davvero la chiave della coesistenza.
L’umiltà e il rispetto manifestati dai Cappuccini sono valori universali, profondamente radicati in diverse tradizioni religiose. Un esempio particolarmente adatto a sottolineare la fratellanza tra diverse fedi può essere trovato nel libro di Isaia, nel Vecchio Testamento. Isaia 56:7 afferma: “Farò venire al mio santo monte e li renderò felici nella mia casa di preghiera; i loro olocausti e i loro sacrifici saranno accetti sul mio altare, perché la mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutti i popoli.” Questo passaggio esprime un’invocazione potente all’inclusività e alla fratellanza, evidenziando come il luogo sacro sia aperto a tutti, indipendentemente dalla loro provenienza o fede, promuovendo un ideale di convivenza pacifica e di rispetto reciproco.
Nel Nuovo Testamento, un versetto che evidenzia l’importanza dell’umiltà e della fratellanza tra diverse fedi si trova nella lettera di Paolo ai Romani. Qui, Paolo esorta: “Accoglietevi gli uni gli altri, come anche Cristo vi ha accolti, per la gloria di Dio” (Romani 15:7). Questo passaggio sottolinea l’importanza di accogliere e rispettare gli altri, nonostante le differenze, proprio come Cristo ha fatto senza distinzione. È un potente promemoria di come l’umiltà possa servire come fondamento per un dialogo costruttivo e una convivenza pacifica tra persone di diverse fedi, promuovendo l’unità e il rispetto reciproco nella diversità.
Dal Corano, riceviamo un insegnamento simile che esalta la pazienza e la tolleranza, elementi chiave per una coesistenza armoniosa. In Surah 49:13 (Al-Hujurat), leggiamo: “O uomini, vi abbiamo creati da un maschio e una femmina e vi abbiamo resi popoli e tribù affinché vi conosciate. In verità, il più nobile tra voi agli occhi di Allah è il più timorato. Allah è sapiente, ben informato.” Questo versetto ci ricorda che la diversità tra le persone è un’opportunità per l’apprendimento e la crescita reciproca, non un motivo di divisione.
Questi insegnamenti, radicati nelle scritture sacre, ci confermano che la chiave della coesistenza risiede nel cuore dell’umiltà e del rispetto per gli altri, indipendentemente dalle differenze di fede e cultura. Adottando queste virtù, possiamo costruire una società più pacifica e accogliente, dove ogni individuo è valorizzato e rispettato.
Conclusioni
Bibliografia:
https://www.eteria.it/i-cappuccini-a-costantinopoli/
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