La politica estera americana dell’Amministrazione Trump prevede un rapporto “muscolare” anche con la Cina sia sul piano commerciale che su quello politico/militare. Una dichiarazione in particolare del prossimo segretario di Stato Rex Tillerson sui futuri rapporti con Pechino ha ottenuto una reazione immediata e dura al di là del credibile dal China Daily e da altri media controllati dallo stato cinese e direttamente dal Partito comunista.
Tillerson, nel corso delle audizioni in Senato, in generale molto più interessanti di quel che ci poteva aspettare, ha preso una posizione dura contro la Russia, ma ancora più dura contro la Cina. Discutendo delle isole artificiali fortificate costruite da Pechino nei mari cinesi del sud, Tillerson ha detto che gli Stati Uniti impediranno l’accesso alle isole: «Non consentiremo l’accesso a quelle isole», ha detto. Tillerson non ha spiegato come il “blocco” avverrà ma ha fatto capire che ci vorrà una dimostrazione di «forza militare se necessario».
Insomma si potrebbe immaginare un blocco navale vecchio stile per impedire ad altri l’accesso alle isole. Isole che sono contese da altri paesi nella regione, ma che la Cina ha di fatto occupato trasformandole da banchi di sabbia disabitati e generalmente ignorati da tutti in delle fortezze artificiali, grazie a una massiccia opera di costruzione che ha prodotto costruzioni, porti, centri di trasmissione, cogliendo di sorpresa non solo i paesi vicini, ma anche gli americani. «È meglio che Tillerson rafforzi la sua strategia nucleare se vuole obbligare una grande potenza nucleare a non avere accesso al suo territorio», ha scritto in un editoriale il Global Times. Il China Daily ha aggiunto: «Un’azione di questo genere da parte americana farebbe partire un confronto devastante fra la Cina e gli Stati Uniti». In un altro passaggio sul Global Times si legge: «La Cina ha determinazione e forza sufficienti a impedire che questa minaccia abbia successo, a meno che Washington non stia programmando una guerra su vasta scala nei Mari Cinesi del Sud, qualunque altro approccio sarebbe stupido».
La Stampa non crede siano minaccie verosimili, la Cina non scatenerebbe mai una guerra per un blocco di alcune isole contese da altri per quanto strategiche. La verità è anche che l’amministrazione Obama è intervenuta troppo tardi nella vicenda, quando ormai i giochi erano fatti, le costruzioni e fortificazioni realizzate, con la Cina che aveva di fatto preso il controllo di queste fortezze più simili a delle portaerei o a delle piattaforme che a delle vere e proprie isole. A questo punto, quando Tillerson dice anche di considerare l’avanzamento territoriale cinese «sulla stessa stregua dell’invasione russa della Crimea» lancia in effetti una provocazione alla quale la Cina non poteva non rispondere. Ma è ovvio che il segnale in arrivo a Pechino dall’America non è rassicurante: dopo la telefonata di Trump al leader di Taiwan, dopo la promesse di nuove tariffe commerciali e ora di un possibile blocco navale, Pechino sta cercando di capire quanto della politica estera di Trump sia un bluff e quanto si debba invece prendere seriamente. Anche sul piano commerciale, quando tempo fa Trump minacciò tariffe anche del 35% su certe importazioni cinese, Pechino rispose a tono: «Propaganda di questo genere non ci impressiona», scrisse di nuovo il People’s Daily citando alti funzionari economici del governo: «Potremo anche assorbire l’urto di nuove tariffe in quanto le esportazioni non sono più un fattore determinante per la nostra crescita». C’è inoltre un altro problema per Washington, la Cina è membro della Wto, che riceverebbe quasi certamente un ricorso da Pechino per la violazione degli accordi sul libero scambio e che senza giustificazioni contrarie molto concrete, potrebbe venire accolta.
Comunque sia, le audizioni hanno fatto notizia in genere. Si è capito che gli ex generali, da John Kelly segretario designato per la sicurezza interna a James Mattis designato per guidare il Pentagono fino allo stesso Tillerson, hanno una visione molto più preoccupata di Trump nel descrivere il futuro dei rapporti con la Russia, considerata un «pericolo» e un «nemico» a seconda dei casi. Che sia la strategia del “bad cop good cop”? Tutto è possibile: Trump potrebbe mandare avanti i suoi per poi intervenire nei confronti di Mosca come il grande rappacificatore. Nei confronti di Pechino invece, la linea dura, almeno a parole è condivisa da tutti.