Il significato profondo della citazione “Mens Sana in Corpore Sano”
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Introduzione

Nel vasto universo delle espressioni che hanno attraversato i secoli, non sono molte quelle che hanno il potere di risuonare con la stessa intensità di “Mens sana in corpore sano”. Questa locuzione latina, spesso evocata per sottolineare l’interconnessione tra benessere fisico e mentale, cela sotto la superficie del suo utilizzo quotidiano un mare di significati più profondi e complessi. L’importanza di esplorare queste profondità non risiede solo nel recupero di un’eredità culturale, ma anche nell’opportunità di scoprire intuizioni inaspettate e formative, capaci di arricchire il nostro approccio alla vita contemporanea.

In questo articolo, ci immergeremo nell’analisi di quest’aforisma tracciando le origini della frase e il contesto in cui è stata pronunciata per la prima volta. Attraverso un viaggio che ci porterà ad esaminare la vita e le opere di Decimo Giunio Giovenale, il poeta latino che l’ha resa immortale nelle sue Satire, cercheremo di comprendere il vero significato che voleva trasmettere.

L’autore: Decimo Giunio Giovenale

Decimo Giunio Giovenale, autore delle penetranti Satire, emerge come una colonna maestosa nel panorama della letteratura romana. La sua esistenza è avvolta in un velo di mistero, eppure viene lentamente disvelata attraverso frammenti biografici che lo collocano tra la fine del I e l’inizio del II secolo d.C., periodo di fervente attività letteraria.
Originario di Aquino, nell’interland della fiorente e celebre città di Cassino, Giovenale visse in un’epoca di stravolgimenti e tumultuosi cambiamenti che ridefinirono il tessuto sociale, politico e filosofico dell’Impero romano. Dal culmine della dinastia Flavia alla dinastia Nerva-Antonini, l’impero raggiunse l’apice della sua espansione e prosperità, testimoniando al contempo il fiorire del diritto, del governo e delle arti. Tuttavia, questa era di splendore nascondeva disparità sociali, disordini politici e una profonda ricerca di significato personale tra l’opulenza e la vastità imperiali.

Nella Roma dell’inizio del II secolo, una città che aveva consolidato il suo dominio egemone dimenticando le proprie origini gloriose, Giovenale osservava il mondo mutare. La capitale, un crogiolo di etnie, lingue, religioni e costumi, diventava lo scenario di una disgregazione morale e sociale che il poeta non esitava a denunciare. Con uno sguardo critico e talvolta indignato, disegnava in versi incisivi lo sfaldamento delle istituzioni romane, l’erosione del senso di amicitia, la decadenza del patronato artistico e il declino dei valori familiari. Al loro posto, vizio e sregolatezza sembravano dilagare, configurando una società in cui predominavano l’egoismo e la corruzione.

Le Satire di Giovenale non sono solo un esercizio di stile, ma un profondo commento sulla realtà che lo circondava, utilizzando arguzia, ironia e, a volte, una bonaria malinconia per sviscerare le complessità del comportamento umano e delle norme sociali. Attraverso i suoi occhi, il lettore moderno può intravedere il ritratto vibrante di una società segnata dall’indignazione, dalla riflessione sagge ma anche dall’ironia. Giovenale non ci lascia soltanto una critica delle usanze del suo tempo, ma un’immagine penetrante dell’animo umano, con i suoi desideri, le sue ambizioni, le ansie, le brame e il tormento del vivere quotidiano.

Attraverso la sua opera, Giovenale ci trasmette un messaggio universale e senza tempo: l’importanza di osservare, riflettere e, forse, comprendere le dinamiche sociali e morali che definiscono l’essenza stessa della civiltà. Le sue Satire, ponte tra l’ethos culturale e l’indagine filosofica della sua epoca, restano una testimonianza vivida dell’impatto duraturo della cultura romana sui valori letterari e filosofici, invitandoci a una riflessione continua sul nostro posto nel cosmo e nella società.

Mens Sana in Corpore Sano: il testo

 

Latino Traduzione Italiana
345 praebenda est gladio pulchra haec et candida cervix. «Nil ergo optabunt homines?» Si consilium vis, permittes ipsis expendere numinibus quid conveniat nobis rebusque sit utile nostris; nam pro iucundis aptissima quaeque dabunt di. 345 Niente dunque dovranno chiedere di per sé gli uomini? Se vuoi un consiglio, lascia che siano gli dei a valutare cosa sia conveniente per noi, e utile ai nostri interessi. Al posto di quel che ci piace, gli dei ci daranno tutto ciò che è più adatto a noi.
350 Carior est illis homo quam sibi. Nos animorum inpulsu et caeca magnaque cupidine ducti coniugium petimus partumque uxoris, at illis notum qui pueri qualisque futura sit uxor. 350 L’uomo è più caro a loro che a se stesso. Noi, spinti dall’impulso dei sentimenti e da una cieca, grande bramosia, desideriamo il matrimonio e il parto della nostra sposa, ma a loro è noto chi saranno i nostri figli, e quale la nostra sposa.
355 Ut tamen et poscas aliquid voveasque sacellis exta et candiduli divina thymatula porci, orandum est ut sit mens sana in corpore sano. Fortem posce animum mortis terrore carentem, qui spatium vitae extremum inter munera ponat naturae, qui ferre queat quoscumque dolores, 355 Se dunque vuoi chiedere qualcosa e offrire nei sacelli le viscere e le divine salsicce di un candido maialino, bisogna pregare di avere una mente sana in un corpo sano. Chiedi un animo forte, libero dal terrore della morte, che consideri la longevità come l’ultimo dei doni della natura, che sia in grado di sopportare qualunque sofferenza,
360 nesciat irasci, cupiat nihil et potiores Herculis aerumnas credat saevosque labores et venere et cenis et pluma Sardanapalli. Monstro quod ipse tibi possis dare; semita certe tranquillae per virtutem patet unica vitae. 360 non sappia adirarsi, non brami nulla e ritenga le sventure e le tremende fatiche di Ercole migliori dell’amore, delle cene e degli agi di Sardanapalo [nota 1]. Io ti mostro ciò che tu stesso puoi darti; di certo l’unico sentiero per una vita tranquilla si apre attraverso la virtù.
365 Nullum numen habes, si sit prudentia: nos te, nos facimus, Fortuna, deam caeloque locamus. 365 Nessuna potenza divina tu hai, se c’è saggezza: siamo noi, siamo noi a renderti una dea, o Fortuna, e a porti in cielo.

[nota 1] Sardanapalo, o Ashurbanipal (669-626 a.C.), l’ultimo re degli Assiri, era nell’immaginario collettivo occidentale simbolo di ricchezza, raffinatezza ed esotica lussuria.

La frase e il suo contesto

“Orandum est ut sit mens sana in corpore sano” intende spiegare la complessa interazione tra salute fisica e lucidità mentale. Una frase però trascende la sua traduzione letterale: “Si dovrebbe pregare per una mente sana in un corpo sano”. Giovenale infatti sta gettando un occhio critico sui desideri non allineati e sulle suppliche spesso frivole rivolte agli dei. Una critica pregnante delle priorità sbagliate della società: mentre gli uomini tendono a cercare benedizioni materiali e transitorie dal divino, trascurano le virtù più durature della saggezza, dell’equilibrio e dell’armonia interiore.

Eppure “Mens sana in corpore sano” viene spesso interpretata in modo errato, riducendosi a una difesa troppo semplice della cura di sé. Interpretazione superficiale che priva le famose parole della loro profondità filosofica, riducendole ad una contemplazione sfumata sul benessere a un mero slogan per la salute personale.

L’intenzione di Giovenale era ben lontana dall’appoggiare un’attenzione ristretta alla salute fisica e mentale, ma aspirava ad elevare il discorso verso una comprensione olistica del benessere, sostenendo un’integrazione armoniosa delle facoltà fisiche, intellettuali e spirituali. In quest’ottica, la frase critica l’eccessiva preoccupazione per i piaceri effimeri e i guadagni materiali, sostenendo un approccio più completo alla vita che valorizza la ricerca di beni superiori come la saggezza, la virtù e l’equilibrio interiore. Giovenale intende invitare a riconsiderare le nostre aspirazioni, esortandoci a cercare al di là del superficiale e del transitorio, verso i veri pilastri di un’esistenza appagante.

Conclusioni

Giovenale, nella sua critica sagace, ci richiama agli ideali superiori della virtù, della saggezza e dell’autocontrollo. Principi, che come stelle guida nella ricerca di una vita soddisfacente, trovano simil eco negli insegnamenti spirituali e morali della Bibbia, creando un ponte attraverso il tempo e la tradizione che offre una visione unitaria del benessere.

La saggezza biblica dei Proverbi:
“Confida nel Signore con tutto il cuore e non confidare nella tua intelligenza; sottomettiti a lui in tutte le tue vie ed egli renderà diritta la tua strada”
(Proverbi 3, 5-6)

Ciò rispecchia l’enfasi di Giovenale sulle virtù della saggezza e dell’autocontrollo, così come nel Nuovo Testamento:

“Perché che cosa giova a un uomo guadagnare il mondo intero e perdere la propria anima?”
(Marco 8, 36)

O nel Corano:
“Per l’anima e per Colui che l’ha proporzionata e l’ha ispirata [con il discernimento della] sua malvagità e della sua rettitudine, ha successo chi la purifica e ha fallito chi la infonde [con la corruzione]”.
Surah Ash-Shams (91, 7-10)

Passaggi che racchiudono magnificamente la ricerca della purezza e dell’eccellenza morale come chiave del vero successo.
Valutiamo e meditiamo sull’importanza della resa spirituale e della guida morale rispetto all’affidamento al giudizio personale e alla ricerca di desideri superficiali. Seguiamo l’appello di Giovenale per una vita ancorata all’integrità morale e spirituale, esortando ad abbandonare gli effimeri guadagni materiali per un’esistenza più profonda e spiritualmente arricchita. Un antico consiglio che ci incoraggia a cercare un equilibrio che non solo nutra il corpo e la mente, ma elevi lo spirito, favorendo un benessere radicato nei valori morali e spirituali.

 

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