La crocifissione di Gesù, è l’evento finale della vita terrena di Gesù, per la tradizione questo giorno è chiamato con il nome di Venerdì Santo. Questo avvenimento, insieme con la risurrezione da morte dopo tre giorni, è considerato dai Cristiani l’evento più importante del ministero del Cristo e per la salvezza dell’umanità in quanto in esso si compie la redenzione da parte di DIO degli uomini, che, con il peccato originale, si erano preclusi la salvezza e la beatitudine eterna. L’evento è descritto in tutti i quattro Vangeli canonici e da molti Vangeli e testi Apocrifi.
Il ruolo della crocifissione di Gesù nella cultura della Cristianità è fondamentale, poiché ad un tempo simbolico ed emblematico della nascita del Cristianesimo, che rappresenta di fatto un agente culturale di enorme influenza nella storia. Inoltre, il segno formale stesso della crocifissione, la croce, è diventato un simbolo di cui tuttora si fa ampio uso presso le culture di derivazione cristiana.
Testimonianza delle Sacre Scritture
La ricostruzione della crocefissione di Gesù ricavabile dai quattro Vangeli canonici, cui tutte le chiese cristiane attribuiscono fede di storicità (“quorum historicitatem incunctanter affirmat“), appare alquanto aderente a quanto emerso dagli studi storici condotti, principalmente nella prima metà del Novecento, sulla pratica della crocefissione presso i Romani.
La crocifissione ebbe luogo su una piccola altura a settentrione di Gerusalemme, denominata Calvario in latino e Golgota in aramaico, vicino a una delle porte di ingresso della città. Sulla croce venne apposta una tavoletta con la scritta: Gesù il Nazareno, il Re dei Giudei. I dettagli riportati a proposito delle torture, della flagellazione, del dissanguamento – dovuto al colpo di lancia del soldato – costituiscono un circostanziato e fedele racconto.
Gesù, sulla Croce, non subì il crurifragium da parte dei soldati Romani per affrettarne la morte, cioè la rottura delle gambe, in quanto vedendolo già morto gli venne forato il Costato con un colpo di lancia (Vangelo secondo Giovanni 19, 31-34). Anche la resa della Salma ai familiari è verosimile, in quanto consentita da Augusto, mentre in precedenza era stato in vigore il divieto di rimuovere i cadaveri sino alla loro completa decomposizione. Nella narrazione dei vangeli la morte di Gesù è accompagnata da segni, come lo squarcio del velo del tempio (15,38), l’oscuramento del sole (23, 44-46), l’apparizione dei giusti nella città santa (27,52-53) e la professione di fede del centurione (15,39).
Fonti storiche e non cristiane
Le fonti coeve non cristiane che parlano del martirio di Gesù comprendono Tacito e Giuseppe Flavio. Una testimonianza successiva di uno o più secoli è inoltre fornita da un testo della tradizione ebraica, il Talmud di Babilonia. Tacito, in particolare, dedica un brano degli Annali alla passione di Cristo, dispiacendosi, in quanto pagano, che essa non abbia stroncato la diffusione della nuova religione:
- Il fondatore di questa setta, il Cristo, aveva avuto il supplizio sotto il regno di Tiberio, per ordine del procuratore Ponzio Pilato. Momentaneamente repressa, la funesta superstizione si scatenò di nuovo non soltanto nella Giudea, culla del male, ma in Roma stessa (Annali, XV, 44)
Lo storico giudeo-romano Giuseppe Flavio (circa 37-103) nella sua opera Antichità giudaiche, che compare nei vari manoscritti in greco pervenutici, parla non solo della crocifissione ma, nel testo a noi pervenuto, dà per certa anche la resurrezione:
- … quando Pilato, per denunzia degli uomini notabili fra noi, lo punì di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già annunziato i divini profeti queste e migliaia d’altre meraviglie riguardo a lui. (Ant. XVIII, 63-64)
Il passo in questione (noto come Testimonium flavianum) è oggetto di discussione tra gli storici: la descrizione, che enfatizza la divinità del Cristo, è infatti poco credibile in un autore giudeo. Si è quindi pensato a possibili interpolazioni da parte di copisti medievali.
La recente (1971) scoperta di una Storia universale in lingua araba scritta in Siria nel X secolo dal vescovo e storico cristiano Agapio di Ierapoli riporta letteralmente il passo di Giuseppe Flavio su Cristo in una versione che pare da ritenersi più fedele all’originale. Afferma dunque Agapio che:
- Similmente dice Giuseppe [Flavio] l’ebreo, poiché egli racconta nei trattati che ha scritto sul governo dei Giudei: “Ci fu verso quel tempo un Uomo saggio che era chiamato Gesù, che dimostrava una buona condotta di vita ed era considerato virtuoso (o dotto), e aveva come allievi molta gente dei Giudei e degli altri popoli. Pilato lo condannò alla crocifissione e alla morte, ma coloro che erano stati suoi discepoli non rinunciarono al suo discepolato (o dottrina) e raccontarono che egli era loro apparso tre giorni dopo la crocifissione ed era vivo, ed era probabilmente il Cristo del quale i profeti hanno detto meraviglie”
Esiste inoltre anche un’altra fonte extra biblica interessante poiché deriva dalla tradizione ebraica: il Talmud di Babilonia (II – V secolo); qui si legge che alla vigilia della Pasqua fu crocifisso Gesù Nazareno e anche che costui aveva portato alla rivolta Israele. La nota forse più interessante è comunque quella riguardante il processo che si descrive annotando non si trovò nessuno che lo difendesse.
Studi
Nel tempo molte discussioni sono scaturite intorno al supplizio, ad esempio sulla forma dello strumento dell’esecuzione di Gesù e sulla natura della sua condanna.
Secondo alcuni, il tema del Crocifisso era presumibilmente presente nell’iconografia già nel I secolo d.C., come dimostrerebbe la presenza dell’impronta di una croce in una casa degli scavi di Ercolano, ed un’altra, andata distrutta, su un edificio di Pompei: a Cristo era anche associata la lettera greca “Tau“, che conteneva in sé l’immagine della croce. Solo nel IV secolo Teodosio il Grande soppresse la pena della croce e l’immagine non suscitò più dei collegamenti negativi.
La raffigurazione di Gesù crocifisso “scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani”(Prima lettera ai Corinzi, 1,23), scandalizzava gli ebrei e suscitava il disprezzo dei pagani.
Le più antiche rappresentazioni ancora conservate di Cristo crocifisso sono:
- il graffito anti-cristiano detto Graffito di Alessameno che ironizza sul crocifisso, opera probabilmente di un paggio imperiale del Palatino (databile tra il II e la prima metà del III secolo d.C., e secondo alcuni anche della fine del I secolo).
- la raffigurazione scolpita alla fine del II secolo o all’inizio del seguente, probabilmente in Siria, in una gemma di diaspro destinata ad essere usata come amuleto. Presenta la figura di un uomo nudo le cui braccia sono legate con vincoli alla traversa di una croce. L’iscrizione in lingua greca combina parole magiche con termini cristiani. Il catalogo di una mostra del 2007 dice: “L’apparizione della Crocifissione in una gemma di data così precoce suggerisce che immagini di tale tema (ora perdute) possono essere state diffuse nel II e nel III secolo, probabilmente in contesti cristiani normali”.
- una gemma della metà del IV secolo, probabilmente anch’essa di provenienza siriana, che faceva parte di un sigillo personale. Presenta Gesù in croce con i dodici apostoli a destra e a sinistra.
- la crocifissione della scatola d’avorio al British Museum di Londra databile verso il 420-430 d.C.
- il pannello di Santa Sabina a Roma (V secolo). Nel pannello Cristo è rappresentato di fronte, al centro della scena, più grande dei due ladroni Gesta, il cattivo, e Disma, il buono. Ha gli occhi aperti, la barba e i capelli lunghi, le braccia sono aperte in posizione di orante e solo le mani sono inchiodate. I piedi, contrariamente alla maggioranza delle rappresentazioni, poggiano in terra e non sono inchiodati. La testa è volta a destra e la pietas cristiana pensa che sia volta verso il buon ladrone per dire: Oggi sarai con me in paradiso (Vangelo secondo Luca 23, 43). Il corpo di Cristo appare senza peso ed il volto di Cristo è un volto “vivente”: (morto e risorto).
Nel V secolo, nelle Basiliche paleocristiane e nei mosaici comparirà la “Croce gemmata”, simbolo di Cristo in gloria. Nel 451 papa Leone I, nel riaffermare le due nature, umana e divina, del Cristo, disse che era stato “appeso alla croce e trapassato da chiodi”.
Successivamente il Concilio di Costantinopoli nel 692, ordinò di rappresentare il Cristo nella sua umanità sofferente. Si ebbero da allora due tipologie di rappresentazioni: il Christus triumphans ed il Christus Patiens.
Molte fonti mettono la transizione da rappresentazioni del Christus triumphans a rappresentazioni del Christus patiens in relazione ai secoli XII-XIII.
La croce cristiana come ricordo della crocefissione e oggetto devozionale è antichissimo. La prima attestazione sarebbe quella in una nicchia, utilizzabile come inginocchiatoio, trovata ad Ercolano e perciò risalente a data anteriore al 79. Della croce parlano Giustino, Ireneo, Tertulliano e altri. Secondo quest’ultimo i cristiani sono Crucis religiosi, cioè “devoti della croce” e ironizza sulla devozione dei soldati romani per il labaro, che è solo una croce rivestita con un drappo perché si vergognavano di venerarne una nuda.
La crocefissione cominciò a essere pubblicamente rappresentata dai Cristiani solo intorno al IV secolo, quando l’imperatore romano Costantino I, nella sua opera di passaggio dal paganesimo ne vietò l’uso come pena capitale. Risale anche a questo periodo il presunto ritrovamento, da parte di Elena, madre dell’imperatore, della stessa croce. Da allora esso fu il segno palese della professione della fede cristiana, sempre più apertamente esibito quanto più tempo passava dal 314, anno del divieto costantiniano, e di fatto, per i cristiani e per gli altri, divenne inscindibile il simbolo (la croce) dal significato (la crocefissione). Va segnalato che inizialmente essa era la sola croce, come già segnalato, mentre l’uso del crocifisso fu introdotto solo molto più tardi.
La crocefissione di Gesù è rappresentata figurativamente già nel V secolo in un pannello di Santa Sabina a Roma. Una miniatura dei Vangeli Rabbula ora alla Biblioteca Laurenziana di Firenze presenta un Cristo calmo, sereno, vincente. Fra i simboli accessori delle rappresentazioni, figuravano il teschio di Adamo (significando che ivi moriva l’uomo, ma non la divinità), gli angeli (forse solo gli arcangeli), l’agnello sacrificale, Satana, la Chiesa, la Sinagoga e, inaspettatamente, il pellicano. Infatti una leggenda medievale molto diffusa narra della capacità del pellicano di far rinascere i propri figli, morti per qualsiasi motivo, aspergendoli del proprio sangue. Questa analogia con il sacrificio di Cristo che, nella fede cattolica, riscatta con il suo sangue l’umanità dal peccato, ha ispirato letterati e poeti, assegnando al pellicano la valenza di simbolo cristologico.
Le forme della rappresentazione figurativa (nell’arte, la copiosa raffigurazione della Passione di Cristo potrebbe costituire un genere a sé in molte discipline) naturalmente risentirono in seguito del variare sia dei canoni artistici che dei climi culturali. Ciò può anche spiegare le sensibili differenze iconografiche fra i culti cristiali occidentali e quelli delle Chiese d’Oriente.
La location

Riproduzione del luogo che secondo la tradizione Cristiana risulta essere il “Golgota” (o “Calvario”)nel quale oggi è situata la Chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme
Il luogo preciso della crocifissione rimane una questione di congetture, ma i resoconti biblici indicano che era fuori dalle mura della città di Gerusalemme,[Gv. 19:20] [Eb. 13:12] accessibile ai passanti[Mt. 27:39] [Mc. 15:21,29-30] e osservabile da una certa distanza.[Mc. 15:40] Eusebio ha identificato la sua posizione solo come a nord del Monte Sion, che è coerente con i due siti più comunemente suggeriti nei tempi moderni.
Il Calvario è il nome italiano del luogo e deriva dalla parola latina per teschio (calvaria), che è usata nella traduzione della Vulgata, ovvero di “luogo del teschio”, la spiegazione data in tutti e quattro i Vangeli della parola aramaica Gûlgaltâ che era il nome del luogo dove Gesù fu crocifisso. Il testo non indica perché fosse così designato, ma sono state avanzate diverse teorie. Una è che come luogo di esecuzione pubblica, il Calvario potrebbe essere stato cosparso di teschi di vittime abbandonate (il che sarebbe contrario alle tradizioni funerarie ebraiche, ma non romane). Un’altra è che il Calvario prende il nome da un cimitero vicino (che è coerente con entrambi i siti moderni proposti). Una terza è che il nome sia derivato dal contorno fisico, che sarebbe più coerente con l’uso singolare della parola, cioè il luogo di “un teschio”. Anche se spesso ci si riferisce al “Monte Calvario”, era più probabilmente una piccola collina o una collinetta rocciosa.
Il sito tradizionale, all’interno di quello che oggi è occupato dalla Chiesa del Santo Sepolcro nel quartiere cristiano della Città Vecchia, è attestato dal IV secolo. Un secondo sito (comunemente indicato come il Calvario di Gordon), situato più a nord della Città Vecchia vicino a un luogo popolarmente chiamato la Tomba del Giardino, è stato promosso dal XIX secolo.
Parole di Gesù dette dalla croce
Il Nuovo Testamento fornisce tre diversi resoconti delle parole di Gesù sulla croce. In Marco e Matteo Gesù pronuncia un solo detto sulla croce, mentre Luca e Giovanni descrivono ciascuno tre dichiarazioni uniche per loro.
Marco & Matteo
“E′li, E′li, la′ma sa‧bach‧tha′ni?” [Mt. 27,46] [Mc. 15,34] (Aramaico per “DIO mio, DIO mio, perché mi hai abbandonato?”)
Le uniche parole di Gesù sulla croce nei racconti di Marco e Matteo, questa è una citazione del Salmo 22. Poiché altri versi dello stesso salmo sono citati nei racconti della crocifissione, è spesso considerato una creazione letteraria e teologica. Geza Vermes, tuttavia, fa notare che il versetto è citato in aramaico piuttosto che in ebraico, come di solito sarebbe stato recitato, e suggerisce che al tempo di Gesù, questa frase era diventata un proverbio di uso comune. Rispetto ai resoconti degli altri Vangeli, che egli descrive come “teologicamente corretti e rassicuranti”, egli considera questa frase “inaspettata, inquietante e di conseguenza più probabile”. La descrive come recante “tutte le apparenze di un grido genuino”. Anche Raymond Brown commenta che non trova “nessun argomento persuasivo contro l’attribuzione al Gesù di Marco/Matt del sentimento letterale di abbandono espresso nella citazione del salmo”.
Luca
“PADRE, perdonali, perché non sanno quello che fanno”. [Alcuni primi manoscritti non hanno questo passaggio][Lc. 23,34]
“In verità vi dico: oggi sarete con me in paradiso”[Lc. 23:43]
“PADRE, nelle tue mani affido il mio spirito!”[Lc. 23,46]
Il Vangelo di Luca non ha il grido di Gesù che si trova in Matteo e Marco, forse minimizzando la sofferenza di Gesù e sostituendo un grido di disperazione con uno di speranza e fiducia, in linea con il messaggio del Vangelo che vede Gesù morente fiducioso che sarebbe stato rivendicato come il giusto profeta di DIO.
Giovanni
“Donna, ecco tuo figlio!” [Gv. 19:25-27]
“Ho sete.”[Gv. 19:28]
“È finita” [Gv. 19,30].
Le parole di Gesù sulla croce, specialmente le sue ultime parole, sono state il soggetto di una vasta gamma di insegnamenti e sermoni cristiani, e un certo numero di autori ha scritto libri specificamente dedicati agli ultimi detti di Cristo. La differenza tra i resoconti è citata da James Dunn come motivo per dubitare della loro storicità.
Poco prima della sua morte in croce, Gesù pronunciò una sola parola di vittoria: tetelestai “è finito”, Le parole greche si riferiscono a qualcosa che è finito, compiuto, completato, o che arriva alla fine.
Accadimenti straordinari riferiti
I sinottici riportano vari eventi miracolosi durante la crocifissione. Marco menziona l’oscurità durante il giorno durante la crocifissione di Gesù, e il velo del Tempio che si squarcia in due quando Gesù muore. Luca segue Marco; così come Matteo, aggiungendo un terremoto e la resurrezione dei santi morti. Nessuna menzione di tutto ciò appare in Giovanni.
Iconografia
Lo sviluppo del Cristianesimo ha prodotto, com’è noto, un vastissimo sistema iconografico nel quale confluiscono tanto le innumerevoli produzioni artistiche destinate (spesso anche con finalità didattiche ai luoghi di culto), quanto gli artefatti nei quali si esprimono le esigenze devozionali polari nelle diverse epoche storiche e nei diversi luoghi in cui avvenne l’inculturazione cristiana.
Il simbolo della Croce e la rappresentazione del racconto evangelico della Crocifissione, ovvero l’evento fondamentale nella dottrina in cui la morte del figlio di DIO mandato al patibolo dagli ingiusti, sono assolutamente di rilievo nella iconografia del Cristianesimo. Nello specifico la Crocifissione rappresenta il simbolo per antonomasia della religione cristiana.
Il materiale iconografico da prendere in considerazione va dalle prime incerte incisioni del segno della Croce che troviamo nelle catacombe, alle espressioni più alte della raffigurazioni della Crocifissione di Gesù che troviamo nell’arte sacra di tutti i secoli; spazia dalle opere di alto pregio destinate a ricchi e raffinati committenti, alle manifestazioni ingenue di espressività popolare che troviamo nelle cappelle votive, nelle feste religiose che celebrano la Passione di Cristo, ed altro ancora. È bene considerare che l’iconografia di Gesù il Cristo, per molto tempo non è stata la Croce ma sculture raffiguranti prima i simboli riferiti al Maestro (il pesce Ichthys, la colomba, l’agnello…) poi raffigurazioni del Cristo Risorto, del Cristo Pantocratore. La croce per molto tempo significò per i cristiani la violenza dei pagani e degli Ebrei e non venne raffigurata. Quando il mecenatismo degli ordini religiosi e dei Papi d’Occidente riportò come motivo ispiratore dell’arte la Crocifissione, come tema dominante della cultura e dell’espressione artistica medievale, allora si creò lo stereotipo di un Gesù il Cristo inchiodato per le palme delle mani al legno. Tuttavia, I Romani crocifiggevano i rei inchiodandoli per i polsi così da svenarli, ucciderli prima e soprattutto per il dato “fisico” che un uomo non si potrebbe reggere con dei chiodi nelle palme delle mani. Questo giustificherebbe la ragionevolezza della veridicità della Sindone di Torino.
Venerdì Santo: il Venerdì che precede la Pasqua cristiana
Come nel Mercoledì delle ceneri, i fedeli dai 14 anni di età sono invitati all’astinenza dalla carne (sono ammessi uova e latticini), e quelli dai 18 ai 60 anni al digiuno ecclesiastico, che consiste nel consumare un solo pasto (pranzo o cena) durante la giornata (è ammessa, oltre a questo, una piccola refezione). Il digiuno si compie in segno di penitenza per i peccati di tutti gli uomini, che Gesù è venuto ad espiare nella passione, ed assume inoltre il significato mistico di attesa dello Sposo, secondo le parole di Gesù (Matteo 9,15); lo Sposo della Chiesa, cioè Cristo, viene tolto dal mondo a causa del peccato degli uomini, ma i cristiani sono invitati a preparare con il digiuno l’evento del suo ritorno e della liberazione dalla morte; questo evento si attua nel memoriale della sua resurrezione, la domenica di Pasqua.
Non si celebra l’eucaristia: durante la celebrazione liturgica pomeridiana del Venerdì santo si distribuisce infatti l’eucaristia consacrata il giorno precedente, nella messa vespertina in Cena Domini del Giovedì santo, in cui si ricorda l’ultima cena del Signore con i discepoli e il tradimento di Giuda. La liturgia inizia nel silenzio, come si era chiusa quella del giorno precedente e come si apre quella della veglia di Pasqua nella notte del Sabato santo, quasi a sottolineare come il Triduo pasquale sia un’unica celebrazione per i cristiani.
L’azione liturgica della Passione del Signore (in Passione Domini), detta anche liturgia dei presantificati, si articola in tre parti:
- la liturgia della Parola, composta di numerose letture e dalla solenne preghiera universale,
- l’adorazione della santa Croce;
- la comunione con i presantificati.
La liturgia dei presantificati ha origini molto antiche (VII secolo) ed è presente anche nel rito bizantino, come una delle quattro tipologie di divina liturgia.
Solitamente, poi, in ogni parrocchia si effettua la Via Crucis o più in generale la processione devozionale con il crocifisso, le statue del Cristo morto e della Madonna addolorata, o le statue che rappresentano i misteri, ossia le stazioni della Via Crucis. Il papa celebra quest’ultimo rito presso il Colosseo.
Le campane il Venerdì santo
Il Venerdì santo le campane, che tradizionalmente richiamano i fedeli alla celebrazione dell’eucaristia, in segno di lutto non suonano. Occorre però precisare da quale momento, in quanto si riscontrano tradizioni differenti a seconda dei diversi riti cattolici.
- Secondo il rito romano le campane suonano per l’ultima volta la sera del Giovedì santo, e precisamente al canto del Gloria della messa vespertina, per poi tornare a suonare a festa durante la Veglia Pasquale, sempre al canto del Gloria, come segno dell’annuncio dei cristiani della resurrezione di Gesù.
- Nel rito ambrosiano, invece, le campane suonano sino all’annuncio della morte del Signore: le ore tre del pomeriggio del Venerdì santo. Dopodiché tacciono fino alla veglia pasquale.
Espiazione
La morte e la resurrezione di Gesù sono alla base di una varietà di interpretazioni teologiche su come la salvezza sia concessa all’umanità. Queste interpretazioni variano ampiamente nella quantità di enfasi che pongono sulla morte di Gesù rispetto alle sue parole. Secondo la visione dell’espiazione sostitutiva, la morte di Gesù è di importanza centrale, e Gesù si sacrificò volontariamente come atto di perfetta obbedienza come sacrificio d’amore che piacque a DIO. Al contrario, la teoria dell’espiazione per influenza morale si concentra molto di più sul contenuto morale dell’insegnamento di Gesù e vede la morte di Gesù come un martirio. Dal Medioevo c’è stato un conflitto tra questi due punti di vista all’interno del cristianesimo occidentale. I protestanti evangelici hanno tipicamente una visione sostitutiva e in particolare sostengono la teoria della sostituzione penale. I protestanti liberali tipicamente rifiutano l’espiazione sostitutiva e sostengono la teoria dell’influenza morale dell’espiazione. Entrambi i punti di vista sono popolari all’interno della Chiesa Cattolica Romana, con la dottrina della soddisfazione incorporata nell’idea di penitenza.
Nella tradizione cattolica romana questa visione dell’espiazione è bilanciata dal dovere dei cattolici romani di compiere Atti di riparazione a Gesù Cristo che nell’enciclica Miserentissimus Redemptor di Papa Pio XI sono stati definiti come “una sorta di compensazione da rendere per la ferita” rispetto alle sofferenze di Gesù. Papa Giovanni Paolo II si riferiva a questi Atti di Riparazione come allo “sforzo incessante di stare accanto alle infinite croci sulle quali il figlio di DIO continua ad essere crocifisso”.
Tra i cristiani ortodossi orientali, un’altra visione comune è Christus Victor. Questa sostiene che Gesù fu mandato da Dio per sconfiggere la morte e Satana. A causa della sua perfezione, della sua morte volontaria e della sua resurrezione, Gesù ha sconfitto Satana e la morte ed è risorto vittorioso. Pertanto, l’umanità non era più legata al peccato, ma era libera di riunirsi a Dio attraverso la fede in Gesù.
Islam
La maggior parte delle tradizioni islamiche, tranne alcune, negano categoricamente che Gesù sia morto fisicamente, in croce o in altro modo. La contesa si trova all’interno delle stesse tradizioni islamiche, con i primi Hadith che citano i compagni di Mohammed affermando che Gesù è morto, mentre la maggior parte dei successivi Hadith e Tafsir hanno elaborato un argomento a favore della negazione attraverso l’esegesi e l’apologetica, diventando la visione popolare (ortodossa).
Il professore e studioso Mahmoud M. Ayoub riassume ciò che il Corano afferma nonostante gli argomenti interpretativi: “Il Corano, come abbiamo già argomentato, non nega la morte di Cristo. Piuttosto, sfida gli esseri umani che nella loro follia si sono illusi di poter sconfiggere il Verbo divino, Gesù Cristo il Messaggero di ALLAH (DIO). La morte di Gesù è affermata più volte e in vari contesti.” (3, 55 ; 5, 117 ; 19, 33)
Il versetto coranico in questione che è stato interpretato in vari modi:
E dissero che abbiamo ucciso il Messia Isa figlio di Maryam, il Messaggero di DIO. Non lo uccisero, né lo crocifissero, anche se fu fatto apparire come tale per loro; quelli che dissero di lui sono pieni di dubbi, senza alcuna conoscenza da seguire, solo supposizioni: certamente non lo uccisero. Al contrario, DIO lo ha innalzato a sé. DIO è onnipotente e saggio.
(Corano sura 4 -An-Nisa النساء- ayah 157-158)
Contrariamente agli insegnamenti cristiani, alcune tradizioni islamiche insegnano che Gesù ascese al cielo senza essere messo in croce, ma che DIO trasformò un’altra persona per apparire esattamente come lui e per essere poi crocifisso al posto suo. Questo pensiero è sostenuto dalla lettura errata di un racconto di Ireneo, lo gnostico alessandrino Basilide del II secolo, quando confuta un’eresia che nega la morte. La tradizione islamica riprende poi accanto alla testimonianza cristiana con Isa che ascende corporalmente al cielo, per rimanervi fino alla sua seconda venuta nei giorni finali.
Referenze
- Franklin M. Segler; Randall Bradley (1 October 2006). Christian Worship: Its Theology And Practice. B&H Publishing Group. p. 226. ISBN 978-0-8054-4067-6. Retrieved 13 April 2012.
- Good Friday – Definition of Good Friday in the American Heritage Dictionary”. Yourdictionary.com. 4 April 2014. Retrieved 23 April 2014.
- Catechismo della Chiesa Cattolica, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1992, ISBN 88-209-1888-9.