Giovanni Crisostomo, o Giovanni d’Antiochia (Antiochia, 344/354 – Comana Pontica, 14 settembre 407), è stato un arcivescovo e teologo romano. Fu arcivescovo di Costantinopoli. È commemorato come santo dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa e venerato dalla Chiesa Copta; è uno dei 36 Dottori della Chiesa Cattolica.
La sua eloquenza, le sue doti retoriche nell’omiletica gli valsero successivamente l’epiteto Crisostomo (in greco antico: χρυσόστομος, chrysóstomos), letteralmente «bocca d’oro». Il suo zelo e il suo rigore furono causa di forti opposizioni alla sua persona. Scrisse delle omelie antigiudaiche utilizzate nei secoli come pretesto per le discriminazioni e persecuzioni contro gli ebrei, nonostante egli insegnasse la carità verso tutti, scrivendo che “il bisognoso appartiene a DIO, anche se pagano o ebreo. Anche se non crede, è degno di aiuto” (In epistulam ad Hebraeos 10,4). Dovette subire un doppio esilio e durante un trasferimento morì.
Come filosofo e teologo, Giovanni è poco originale ma riecheggia – e trasferisce efficacemente nell’omiletica – temi della tradizione patristica greca e soprattutto della scuola antiochena. La sua personalità è quella di un uomo innamorato della morale, vissuta come “amore in atto”, desideroso di riformare la vita cristiana, secondo l’ideale delle primitive comunità cristiane concepite nello schema del cenobitismo.
Biografia
Nacque ad Antiochia, da una famiglia cristiana benestante verso il 347. In quel tempo la città era la terza per importanza nella parte orientale dell’Impero dopo Costantinopoli (che però all’epoca aveva poche decine di migliaia di abitanti) e Alessandria. Durante tutto il IV secolo profondi contrasti si erano verificati in Oriente, ed anche ad Antiochia, tra pagani, manichei, ariani, apollinaristi, ebrei; gli stessi cristiani ortodossi erano divisi tra due vescovi rivali: Melezio e Paolino.
Anche in giovinezza, Giovanni visse in tale clima di contrasti. Suo padre, Secondo, era un alto ufficiale dell’esercito siriano, e morì quando Giovanni era ancora in tenera età; la madre Antusa, di soli ventidue anni, affrontò, da sola, il difficile compito di allevare lui e la sorella maggiore. Sarebbe stato allievo del celebre oratore e maestro Libanio, che ebbe a dire di questo suo discepolo: «Sarebbe stato uno dei miei migliori allievi se la Chiesa non me lo avesse rubato». Secondo quanto Giovanni racconta di sé nei suoi scritti, in giovane età fu molto irrequieto e, secondo la sua stessa definizione, «incatenato alle passioni del mondo». Egli fu gastronomo, amante dell’eloquenza giudiziaria e del teatro.
A 18 anni incontrò il vescovo Melezio e chiese di essere battezzato. Incominciò allora a seguire dei corsi di esegesi presso Diodoro di Tarso, la cui scuola era famosa per l’interpretazione letterale delle Sacre scritture, in contrapposizione con la scuola alessandrina, che invece privilegiava una lettura anche allegorica. Terminati gli studi, Giovanni ricevette gli ordini minori e si ritirò in un eremitaggio nel quale si dedicò allo studio della teologia. Compose un trattato, De Sacerdotio, forse influenzato da Gregorio Nazianzeno. Egli riteneva che il monachesimo non fosse la sola via per raggiungere la perfezione; la vita sacerdotale al servizio dei credenti e in mezzo alle mille tentazioni del mondo era per lui il miglior modo di servire DIO.
Nell’inverno 380–381 venne ordinato diacono da Melezio ad Antiochia. Nel 386 fu ordinato sacerdote, diventando presto celebre per la sua predicazione. Nel 392, a seguito dei Decreti teodosiani, organizzò una spedizione per demolire i templi e i suoi nemici dissero che fece uccidere gli idolatri. Proseguì anche la sua attività letteraria che toccava vari temi, ad esempio come consolare una vedova, sulle seconde nozze di vedovi e vedove, sull’educazione.
Nel 397 Nettario, arcivescovo di Costantinopoli, morì. Dopo un’aspra battaglia per la successione, l’imperatore bizantino Arcadio scelse Giovanni, dietro suggerimento del potente eunuco Eutropio. Crisostomo fu consacrato Patriarca il 28 febbraio 398. Egli dirigerà con grande forza e rigore la Chiesa affidatagli, scagliandosi contro la corruzione e la licenziosità dei potenti (ad eccezione del suo protettore Eutropio, che non riuscì a salvare dalla morte nel 399), facendosi molti nemici a corte. Fece destituire molti presbiteri indegni: sotto queste misure cadde anche il vescovo di Efeso. Fece rientrare nei monasteri i monaci che erravano vagabondi.
[perfectpullquote align=”left” bordertop=”false” cite=”” link=”” color=”” class=”” size=”14″]”Non dare ai poveri parte dei propri beni è rubare ai poveri, è privarli della loro stessa vita; e quanto possediamo non è nostro, ma loro”
(De Lazaro, II, 6: PG 48, 992D)[/perfectpullquote]
Combatté con rigore le eresie. In una delle omelie dette delle statue (pronunciate ad Antiochia nel 387) così si esprimeva: “i giudei e i pagani devono comprendere che i cristiani sono i salvatori, i protettori, i capi e i maestri della città” (I, 12). Si impose con autorità sulle diocesi a lui sottomesse dell’Asia minore. Molto schivo, prendeva i pasti da solo e promosse un modo di vita molto frugale per il clero costantinopolitano.
All’inizio, nonostante le forti invidie e gli odi che rapidamente si attirò nella nobiltà e tra alcuni vescovi orientali, venne sostenuto dalla corte imperiale. Durante la traslazione della reliquia di san Foca l’Ortolano fu la stessa imperatrice Eudoxia a trasportarla attraverso la città. Secondo un autore moderno, successivamente si è diffusa la leggenda di un suo conflitto con Eudossia, priva di fondamenti storici e che tuttavia appare verosimile alla luce del culto della personalità da parte dell’imperatrice (che volle essere innalzata al rango di “augusta”, fece coniare monete con la sua immagine, celebrare feste in suo onore, ecc.) e la condanna dei vizi che aveva contraddistinto tutta la predicazione del santo.
Nel 402 molti nemici di Giovanni si rivolsero al patriarca di Alessandria d’Egitto Teofilo di Alessandria, la cui Chiesa si trovava in contrasto con quella di Costantinopoli. Chiamato a Costantinopoli per giustificarsi delle varie accuse che gli venivano mosse, Teofilo si presentò con una schiera di vescovi alessandrini e mise in minoranza Giovanni, che venne deposto ed esiliato dall’imperatore. Ma avendo l’imperatrice abortito in concomitanza con l’esilio di Giovanni, ella lo fece richiamare. Ciononostante, i suoi nemici non cessarono di tramare contro di lui e il 9 giugno del 404 venne definitivamente allontanato da Costantinopoli. Per tre anni rimase confinato a Cucusa, tra le montagne dell’Armenia, in cui svolse un’intensa attività. Nel 407 gli venne intimato un nuovo trasferimento a Pitiunte, sul Mar Nero.
Giovanni morì il 14 settembre del 407 a Comana, nel Ponto, durante il viaggio di trasferimento. Secondo la tradizione, le sue ultime parole furono:
(EL)«Δόξα τῷ θεῷ πάντων ἕνεκα.» | (IT)«gloria a DIO in tutte le cose» |
Nel 438, sotto l’imperatore Teodosio II, dietro iniziativa dell’arcivescovo Proclo, le sue spoglie furono portate solennemente a Costantinopoli e sepolte nella chiesa dei Santi Apostoli. Trasportate a Roma, le spoglie di Giovanni Crisostomo furono collocate nella basilica vaticana, in cui tuttora sono conservate. Secondo una tradizione, non confermata dalle fonti, le reliquie di san Giovanni sarebbero giunte a Roma all’epoca della quarta crociata, dopo il sacco di Costantinopoli del 1204.
Nel 1568 fu proclamato Dottore della Chiesa da papa Pio V.
Nel novembre 2004 papa Giovanni Paolo II fece dono al patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I di una parte delle reliquie di san Giovanni Crisostomo venerate in Vaticano.
L’opera
Giovanni si adoperò nell’intento di moralizzare il clero di Costantinopoli, criticando i suoi eccessi e il suo stile di vita. I suoi sforzi cozzarono contro una forte resistenza e quindi furono limitati e provvisori. Era un eccellente predicatore e come teologo ebbe notevole stima nella cristianità dell’oriente. Contrariamente al costume diffuso dell’epoca, di parlare per allegorie, adottò uno stile diretto utilizzando i passi biblici come lezioni e ammaestramento nella vita di tutti i giorni.
La sua messa al bando fu una dimostrazione sia della supremazia del potere secolare sia della rivalità tra Costantinopoli ed Alessandria nella lotta per la preminenza nella chiesa d’oriente dell’epoca. La rivalità suddetta creò grossi problemi religiosi e politici all’impero e fu una delle cause della perdita dell’Egitto. Al contrario, in occidente la superiorità spirituale di Roma era già un fatto indiscusso nel V secolo ma – per i disordini e gli eventi bellici che avevano fatto dell’occidente una terra economicamente povera, spopolata e in grave crisi – il peso “politico” verso gli imperatori d’Oriente era in generale diminuito. Un esempio dello scarso peso della chiesa occidentale presso l’impero orientale di allora è dato dal fatto che le proteste di papa Innocenzo, che difendeva il Crisostomo, vennero tranquillamente ignorate.
Gli scritti
La produzione scritta di Giovanni Crisostomo è copiosissima: comprende alcuni trattati e diverse centinaia di omelie dedicate in gran parte all’esegesi delle Scritture. Alcuni di questi trattati sono: “Contro coloro che si oppongono alla vita monastica”, “Sul sacerdozio”. Fra le omelie esegetiche superstiti, sessantasette sono dedicate alla Genesi, quarantanove ai Salmi, novanta al Vangelo di Matteo, ottantotto al Vangelo di Giovanni e cinquantacinque agli Atti degli Apostoli. Fra i discorsi non esegetici vi sono cinque omelie “Sull’incomprensibile natura di DIO”, otto “Contro i Giudei”, almeno ventuno “Omelie per le Statue”, “Istruzioni per i Catecumeni”. È considerato il maggior oratore cristiano di lingua greca dei primi secoli, come ricorda il suo soprannome (crisostomo=bocca d’oro).
Omelie famose di Crisostomo
Per me il vivere é Cristo e il morire un guadagno
Molti marosi e minacciose tempeste ci sovrastano, ma non abbiamo paura di essere sommersi, perché siamo fondati sulla roccia. Infuri pure il mare, non potrà sgretolare la roccia. S’innalzino pure le onde, non potranno affondare la barca di Gesù. Cosa, dunque, dovremmo temere? La morte? «Per me il vivere é Cristo e il morire un guadagno» (Fil 1, 21). Allora l’esilio? «Del SIGNORE é la terra e quanto contiene» (Sal 23, 1). La confisca de beni? «Non abbiamo portato nulla in questo mondo e nulla possiamo portarne via» (1 Tm 6, 7). Disprezzo le potenze di questo mondo e i suoi beni mi fanno ridere. Non temo la povertà, non bramo ricchezze non temo la morte, né desidero vivere, se non per il vostro bene. E’ per questo motivo che ricordo le vicende attuali e vi prego di non perdere la fiducia.
Non senti il SIGNORE che dice: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro»? (Mt 18, 20). E non sarà presente là dove si trova un popolo così numeroso, unito dai vincoli della carità? Mi appoggio forse sulle mie forze? No, perché ho il suo pegno, ho con me la sua parola: questa é il mio bastone, la mia sicurezza, il mio porto tranquillo. Anche se tutto il mondo é sconvolto, ho tra le mani la sua Scrittura, leggo, la sua parola. Essa é la mia sicurezza e la mia difesa. Egli dice: «Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20)-
Cristo é con me, di chi avrò paura? Anche se si alzano contro di me i cavalloni di tutti i mari o il furore dei principi, tutto questo per me vale di meno di semplici ragnatele. Se la vostra carità non mi avesse trattenuto, non avrei indugiato un istante a partire per altra destinazione oggi stesso. Ripeto sempre: «SIGNORE, sia fatta la tua volontà» (Mt 26, 42). Fraò quello che vuoi tu, non quello che vuole il tale o il tal altro. Questa é la mia torre, questa la pietra inamovibile, il bastone del mio sicuro appoggio. Se DIO vuole quetso, bene! Se vuole ch’io rimanga, lo ringrazio. Dovunque mi vorrà, gli rendo grazie.
Dove sono io, là ci siete anche voi. Dove siete voi, ci sono anch’io. Noi siamo un solo corpo e non si separa il capo dal corpo, né il corpo dal capo. Anche se siamo distanti, siamo uniti dalla carità; anzi neppure la morte ci può separare. Il corpo morrà, l’anima tuttavia vivrà e si ricorderà del popolo. Voi siete i miei concittadini, i miei genitori, i miei fratelli, i miei figli, le mie membra, il mio corpo, la mia luce, più amabile della luce del giorno. Il raggio solare può recarmi qualcosa di più giocondo della vostra carità? Il raggio mi é utile nella vita presente, ma la vostra carità mi intreccia la corona per la vita futura.(Prima dell’esilio, nn. 1-3; PG 52, 427*-430)
La preghiera è luce per l’anima
“La preghiera, o dialogo con DIO, è un bene sommo. È, infatti, una comunione intima con DIO. Come gli occhi del corpo vedendo la luce ne sono rischiarati, così anche l’anima che è tesa verso DIO viene illuminata dalla luce ineffabile della preghiera. Deve essere, però, una preghiera non fatta per abitudine, ma che proceda dal cuore. Non deve essere circoscritta a determinati tempi od ore, ma fiorire continuamente, notte e giorno.
Non bisogna infatti innalzare il nostro animo a DIO solamente quando attendiamo con tutto lo spirito alla preghiera. Occorre che, anche quando siamo occupati in altre faccende, sia nella cura verso i poveri, sia nelle altre attività, impreziosite magari dalla generosità verso il prossimo, abbiamo il desiderio e il ricordo di DIO, perché, insaporito dall’amore divino, come da sale, tutto diventi cibo gustosissimo al SIGNORE dell’Universo. Possiamo godere continuamente di questo vantaggio, anzi per tutta la vita, se a questo tipo di preghiera dedichiamo il più possibile del nostro tempo.
La preghiera è luce dell’anima, vera conoscenza di DIO, mediatrice tra DIO e l’uomo. L’anima, elevata per mezzo suo in alto fino al cielo, abbraccia il SIGNORE con amplessi ineffabili. Come il bambino, che piangendo grida alla madre, l’anima cerca ardentemente il latte divino, brama che i propri desideri vengano esauditi e riceve doni superiori ad ogni essere visibile.
La preghiera funge da augusta messaggera dinanzi a DIO, e nel medesimo tempo rende felice l’anima perché appaga le sue aspirazioni. Parlo, però, della preghiera autentica e non delle sole parole.
Essa è un desiderare DIO, un amore ineffabile che non proviene dagli uomini, ma è prodotto dalla grazia divina. Di essa l’Apostolo dice: Non sappiamo pregare come si conviene, ma lo Spirito stesso intercede per noi con gemiti inesprimibili (cfr. Rm 8, 26b). Se il SIGNORE dà a qualcuno tale modo di pregare, è una ricchezza da valorizzare, è un cibo celeste che sazia l’anima; chi l’ha gustato si accende di desiderio celeste per il SIGNORE, come di un fuoco ardentissimo che infiamma la sua anima.
Abbellisci la tua casa di modestia e umiltà mediante la pratica della preghiera. Rendi splendida la tua abitazione con la luce della giustizia; orna le sue pareti con le opere buone come di una patina di oro puro e al posto dei muri e delle pietre preziose colloca la fede e la soprannaturale magnanimità, ponendo sopra ogni cosa, in alto sul fastigio, la preghiera a decoro di tutto il complesso. Così prepari per il Signore una degna dimora, così lo accogli in splendida reggia. Egli ti concederà di trasformare la tua anima in tempio della sua presenza.
Dalle « Omelie » di san Giovanni Crisostomo, vescovo (Om. 6 sulla preghiera; PG 64, 462-466)
Omelia sul Vangelo di Giovanni 86, 2-3
Fuorilegio: Frasi celebri di Giovanni Crisostomo
Bibliografia
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